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Sulle fortificazioni della città di Trani in età prenormanna, sappiamo che esse consistevano in una cinta di mura con torri, in cui si aprivano quattro porte in corrispondenza dei punti cardinali.
[1]
Questa cinta muraria è il probabile segno di una consistente identità urbana che fece schierare i tranesi con i bizantini mentre, come si è detto a proposito di Barletta, Andria, Bisceglie e Corato, le città circonvicine e gran parte della Puglia si schieravano con i normanni.
Questi ultimi assediarono una prima volta la città nel 1042 non riuscendo a prenderla nonostante la costruzione di una grande macchina d’assedio.
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La città fu presa, come si è detto, solo grazie alla chiusura delle vie d’accesso alla città e al suo entroterra con la fortificazione delle città circonvicine.
[3]
Le mura non furono abbattute, forse anzi rinforzate, se Roberto il Guiscardo per toglierla al ribelle conte Pietro II dovette porre un lungo assedio alla città nel 1073, finché i tranesi sfibrati gli aprirono le porte.
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Le mura vennero invece abbattute nel 1133 per ordine di Ruggero II, per punire la città di un’altra ribellione.
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Memore della ribellione re Ruggero II volle imporre probabilmente un castello alla città, del quale però si ignora la configurazione e la collocazione, ma del quale si conosce la data di distruzione: nel 1137, infatti, i tranesi, memori anch’essi dell’offesa subita nel 1133, accolsero con “gaudio” l’arrivo dell’esercito imperiale di Lotario e assaltarono, distruggendolo, il castello di Trani
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.
I tranesi dovettero però mantenere in uso le mura se lo stesso re per poter riprendere Trani dopo la partenza di Lotario dovette assediarla anche per mare con 33 navi.
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La città appare ancora fortificata nel 1154, meno di due decenni dopo gli eventi del 1137, se dobbiamo dare fede ad Edrisi che definisce Canosa, Andria e Trani <<valide fortezze e grosse terre alle quali fa capo ogni genere di commercio>> aggiungendo significativamente che sulla loro difesa può farsi affidamento.
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Stranamente Edrisi non parla delle difese della città di Barletta, ma associa le fortificazioni di Trani a quelle di Andria e Canosa, spingendo lo sguardo fino a Gravina e a Matera, in una visione di insieme del sistema urbano, delle fortificazioni e della loro valenza difensiva in questo fondamentale scacchiere del Regno.
Invero già il conte Pietro II, fuggendo da Trani, avendo tentato una inutile difesa di Corato, si era rifugiato ad Andria, certamente più difendibile, mettendo in luce anche il legame strategico militare tra queste città, cioè tra costa ed immediato entroterra.
Tornando ad Edrisi, possiamo con certezza affermare che egli parlasse delle mura della città, poiché è difficile pensare alla ricostruzione di un castello a Trani in tempi così stretti e, soprattutto, assolutamente non documentata, al limite è possibile pensare all’esistenza di un settore delle mura più fortificato del resto, molto probabilmente in corrispondenza dell’attuale castello.
Nessuna notizia, però, ci giunge su di un castello a Trani all’arrivo dell’imperatore Enrico VI nel 1194 che pure occupò la città e sembra vi risedette.
[9]
E ancora silenzio dalle fonti del periodo della minorità di Federico II e dei suoi primi anni di regno, anche nel 1221, anno in cui è segnalata una presenza dell’imperatore nella città dalla quale emana alcuni atti imperiali.
[10]
L’imperatore certo non si disinteressò della città pugliese così ricca di traffici mercantili, dotata di un territorio agricolo importante, di una importante comunità ebraica
[11]
, sede vescovile, strategicamente e militarmente importante per la difesa della costa adriatica. Anzi la città era sotto stretta osservazione se nel 1229 veniva segnalata tra le città della Puglia definite infide.
[12]
L’anno chiave però è il 1233, quando due testimonianze concordi ricordano l’ordine dell’imperatore di edificare il castello di Trani. Riccardo di San Germano afferma che <<Castella in Trano, Baro, Neapoly et Brundisio iussu imperatoris firmantur>>
[13]
utilizzando un verbo che in realtà vuol dire anche restaurare, rinforzare, come appare chiaro peraltro visto il riferimento al castello di Bari, già certamente esistente. Ma i dubbi sono in gran parte allontanati dall’altro documento: quell’iscrizione lapidea che chiaramente afferma come <<Nel 1233 dall’incarnazione di Dio, nell’anno decimo terzo d’impero di Federico Cesare, sesto del terzo decennio del suo regno di Sicilia ed ottavo del regno di Gerusalemme, essendo il mese di Giugno e la sesta indizione, quest’opera allora cominciò a sorgere>>.
[14]
Resta il dubbio che si tratti dell’ampliamento, del restauro o dell’adeguamento di un castello normanno. Anche questo dubbio è stato risolto dal recente restauro che non ha individuato grandi strutture di certa età normanna inglobate nell’edificio svevo che poggia infatti sulle sue stesse fondazioni, direttamente sul banco di roccia. Al di sotto del castello sono stati individuati i resti di poche, sporadiche e scollegate strutture, tra le quali spicca la presenza dei resti di un ambiente a pianta quadrata, “di fattura accurata”, sotto l’attuale androne orientale, interpretabile come un probabile torrione di età normanna, peraltro isolato, e i resti di un ambiente circolare di modeste dimensioni nell’angolo nord-ovest del cortile.
[15]
Anche se, quindi, nell’area dell’attuale edificio svevo-angioino-aragonese fosse esistito un castello sfuggito ai documenti e alle cronache dal 1137 al 1233, o un nodo difensivo rappresentato da una torre isolata, queste strutture vennero rase al suolo e l’edificio fu ricostruito a partire dal 1233.
Da questo momento le notizia si infittiscono e riusciamo a seguire in modo relativamente stringente le vicende del castello: nei Diurnali di Matteo Spinelli viene narrato che Federico II, nel 1234, avrebbe visitato personalmente la “fabbrica del castello”
[16]
; nel 1239 vengono assegnati, o se ne conferma l’assegnazione, 80 serventi e viene nominato un castellano nella persona di Filippo de Judice di Trani
[17]
, sostituito nel 1247 da Giovanni Calvano
[18]
, nipote di quel Filippo Chinardo, di cui parleremo diffusamente; al 1240 risalgono due importanti mandati di pagamento per lavori nel castello: il primo è fatto in favore di Alessandro figlio di Enrico, per il pagamento di spese, non meglio specificate, effettuate nel castello di Trani e, significativamente, in quelli di Andria e Bari;
[19]
quindi si ordina di dare corso alla richiesta dei castellani di Trani e Bari, di realizzare le coperture di tutti quegli ambienti che, probabilmente ritenuti poco essenziali agli scopi militari, erano rimasti ancora senza tetto
[20]
; nel 1249 infine l’opera deve considerarsi compiuta in seguito ad ulteriori lavori di ampliamento e rafforzamento. A questa data, infatti, risale un’altra lapide in cui solennemente si afferma che secondo il progetto di Filippo Chinardo, e sotto la direzione dei lavori del tranese Stefano di Romualdo Carabrese, furono realizzate e portate a termine le difese avanzate intorno e davanti al castello di Trani.
[21]
In quello stesso anno, come a Barletta, vengono nominati dei “tutori” del castellano di fresca nomina, cui è affidata nello specifico la difesa del castello: Pietro di Sannicandro e Matteo di Binetto, piccoli, ma fidati signori feudali. Si tratta come è noto di anni convulsi in cui Federico II subisce sconfitte militari gravi.
[22]
Morto Federico, anche il castello di Trani fu protagonista dell’età di Manfredi. Nel 1255, infatti, come si è detto, ottocento cavalieri pontifici guidati da Bertoldo di Hoenburg, piombarono da Foggia su Trani, e quindi su Barletta, sapendo che spingendo o costringendo queste città a passare dalla parte del papa, avrebbero ottenuto l’alleanza di tutte le città costiere di Terra di Bari che, secondo Jamsilla, era la migliore e più ricca zona della Puglia.
[23]
Le altre vicende dell’età di Manfredi sono quelle note del suo matrimonio con Elena di Epiro, celebrato e festeggiato proprio tra le mura del castello nel 1259, e quelle della fuga di Elena tra le mura del castello nella speranza di poter salpare alla volta dell’Oriente nel 1266, dopo la sconfitta di Benevento subita dal consorte, della sua cattura per il tradimento del castellano, e della sua prigionia di alcune settimane nello stesso castello.
[24]
Le notizie storiche relative alla costruzione del castello di Trani sono state confermate dai ritrovamenti archeologici e dalla analisi dello stile architettonico e degli aspetti militari, compiuta in occasione del restauro.
[25]
Gli anni di costruzione dell’edificio, quindi, lo inseriscono a pieno titolo tra le importanti realizzazioni castellari federiciane successive al ritorno dalle crociate, nel periodo di massimo impegno dello svevo nella realizzazione di un’efficace infrastruttura militare e di controllo del regno, soprattutto in Puglia e Sicilia.
[26]
E gli anni che vanno dal 1233 al 1240 coincidono perfettamente con quelli di costruzione di Castel del Monte che si andava a completare con le coperture proprio nel 1240
[27]
, anno della fine dei lavori relativi alla prima fase della costruzione del castello di Trani, coincidente anche qui con la realizzazione di solai e tetti.
Ed il biennio 1239-1240, per le note vicende politiche che contrapposero nuovamente Federico II e papa Gregorio IX alleato dei Veneziani, appare un momento chiave anche per il castello di Trani che, come si è detto, insieme a quelli di Barletta, Canosa, Bari e Gravina, viene inserito tra i Castra Exempta del regno
[28]
di cui si è detta l’importanza strategica.
La forma dell’edificio è uno dei prototipi perfetti del modello rappresentato dai castelli a pianta quadrata con torri angolari, cortile interno e locali su tutti e quattro i lati, di derivazione romano-bizantina, mediata attraverso modelli ciprioti, ma anche da modelli occidentali provenienti dalla Francia, dalla Germania e dall’Inghilterra, qui elaborati per evoluzione interna o a seguito delle crociate, tra XII e XIII secolo
[29]
. Dimostrazione esplicita che toglie ogni dubbio a tale affermazione è il nome e la provenienza dell’architetto costruttore del castello di Trani, quel Filippo Chinardo o de Chinard, di probabile origine francese ma conosciuto come cipriota, nominato nell’epigrafe e nelle carte di epoca sveva, già architetto a Cipro e sbarcato, probabilmente. in Puglia insieme a Federico II nel 1229.
[30]
In età angioina, infine, il castello non dovette subire modifiche sostanziali nella struttura e nella destinazione d’uso: sede carceraria per prigionieri politici, luogo di nozze reali
[31]
e residenza temporanea del re e dei membri della sua famiglia
[32]
, sede temporanea del tesoro reale,
[33]
luogo di conservazione della catena che chiudeva il porto di Trani già in età federiciana
[34]
, luogo di deposito di derrate alimentari di proprietà della corona e/o destinate al vettovagliamento delle truppe e degli equipaggi, sede e deposito di armi e divise
[35]
.
Quanto al ruolo militare è necessario dire che Carlo I si interessò della realizzazione di bertesche
[36]
, ma non si hanno altri documenti su interventi costruttivi a scopo militare, bensì si hanno notizie certe sulla riduzione progressiva del numero di serventi nello stesso castello: già prima del 1269 l’edificio era difeso da quaranta elementi che divengono venti dopo il 1278
[37]
. Ma non si tratta di una smilitarizzazione, ché anzi Trani mantiene più serventi di Bari e Taranto, che hanno solo 15 uomini, e gli stessi uomini di Brindisi. Solo Canosa e Castel del Monte, mantengono un numero di 30 serventi, mentre, come detto, non siamo informati sul numero di serventi di Barletta.
[38]
I primi sovrani angioini, quindi, ritenevano ancora valide le strutture sveve e continuano a considerare tale area pugliese come strategica.
La collocazione del castello di Trani, come ovunque d’altronde, è il frutto del convergere e del coagularsi di una serie di esigenze strategiche. Queste fecero preferire il versante nord-occidentale rispetto ad una collocazione interna o ad una a sud-est della città verso Bisceglie: parlarne significa mettere in luce tutta la valenza strategica del castello in questione.
Se la collocazione del castello fosse avvenuta ad est del porto, là dove oggi insiste la Villa Comunale, su di un alto sperone roccioso, si sarebbe forse dominato meglio il porto e ci si sarebbe allontanati a misura di sicurezza dell’area più antica e fittamente abitata del centro cittadino, mantenendo comunque il controllo sull’abitato e su delle strade importanti come quella costiera che recava a Bari e quelle che portavano a Ruvo e Corato. Ancora nel XIV secolo l’area suddetta ad est, appare sostanzialmente disabitata, se si escludono alcuni edifici religiosi.
[39]
Perché allora fu scelto l’altro versante ed una posizione esterna alle mura? Dalle torri a mare del castello di Trani che ancora possiedono l’altezza originale di circa 30 metri sul livello del mare
[40]
si domina un territorio vastissimo: la città di Trani e il suo porto; la costa e il fertile territorio a nord, che divide Trani da Barletta, un territorio che nel XIII secolo ancora acquitrinoso
[41]
, e la costa bassa e sabbiosa; visibilissimo all’epoca e in parte ancora oggi è il castello di Barletta, la cui porta principale si apriva proprio verso Trani; lo stretto collegamento con il campanile della cattedrale permette di allargare lo sguardo verso sud e sud est fino a Bisceglie e Corato; soprattutto si controllano direttamente le strade per Barletta e Andria che partivano dalle porte aperte nella cinta muraria ovest; verso sud-est è visibile Bisceglie; verso l’interno è garantito il collegamento visivo con Corato e Andria, entrambe, dotate di castelli tenuti in efficienza in età federiciana
[42]
, e più in là con Castel del Monte
[43]
.
Collocare l’edificio in posizione diversa avrebbe sottratto al castello una serie di funzioni strategiche fondamentali che furono anche la causa della sua fondazione: il completamento del sistema di triangolazione visiva tra i castelli di Barletta e Trani e quello di Andria tramite il quale, come si è detto, Castel del Monte diveniva vicinissimo.
Non bisogna dimenticare l’altra probabile funzione di controllo della palude imperial-regia tra Barletta e Trani:
[44]
tale funzione è, come vedremo, solo apparentemente secondaria.
Il castello di Trani, inoltre, come quello di Barletta delle origini, si affaccia direttamente sul mare: ciò permetteva di allagare il fossato e rendeva difficile un assedio che doveva prevedere necessariamente che anche il mare fosse presidiato, in quanto l’accesso dal castello era garantito e previsto da una serie di imbarchi, attracchi e posterle che permettevano un collegamento diretto con l’esterno attraverso la via d’acqua. E ancora, bisogna dire che porre il castello totalmente all’esterno della cinta muraria ebbe l’obiettivo di isolarlo e di dotarlo di due accessi: uno verso Barletta, di fronte in pratica alla porta del prospiciente castello, l’altro verso sud in direzione di Andria-Castel del Monte.
[45]
Ad implementare la funzione strategica e la possibilità di comunicazione tra i diversi centri suddetti, come si è visto per il caso di Barletta, oltre alla già citata Torre di Pilato lungo il litorale ovest, la già citata Carta dei Castelli segnala due torri verso Andria, “di Mainzano” e “Bombini”, ben tre torri verso Corato, “di Gattamanza”, “di Gavetina” e “Saggina”, oltre all’ancora esistente “Torre Lama” lungo la costa verso Bisceglie.
[1]
Guglielmo Apulo, La geste cit., p. 124; Licinio, Castelli cit., pp. 28-29; A. Prologo, I primi tempi della città di Trani e l’origine del nome della stessa, Giovinazzo 1883, pp. 29-37; G. Vitale, Note di socio-topografia della città di Trani dall’XI al XV secolo, in ASPN, III s., XVIII (1979), pp. 38-55; R. Colapietra, Profilo storico urbanistico di Trani dalle origini alla fine dell’Ottocento, Bari 1981, p. 5; F. Porsia, Trani, in Brusa-Licinio-Porsia, Itinerario normanno cit., p. 155; B. Ronchi, Indagine sullo sviluppo urbanistico di Trani dall’XI al XVIII secolo, Fasano 1984, p. 11; J.-M. Martin, Le communatés d’habitants de la Pouille et leur rapports avec Roger II, in Società potere e popolo nell’età di Ruggero II (Atti delle terze giornate normanno-sveve, Bari, 23-25 maggio 1977), Bari 1979, p. 77, n. 3.
[2]
Anonimi Barensis monachi, Chronicon, in Muratori, R.I.S., I, Milano 1724, cc. 35-36.
[3]
Porsia, Trani cit., p. 159.
[4]
Guglielmo Apulo, La geste cit., p. 186; le vicende sono ampiamente narrate in Loffredo, pp. 144 e ss.
[5]
Alexander Telesinus, De rebus gestis Rogerii Siciliane Regis, in Del Re, Cronisti cit., I, p. 120; Falcone Beneventano, Chronica, in Del Re, Cronisti cit., I, p. 219.
[6]
Annalista Saxo, in M.G.H., SS VI, Hannover 1844, p. 773. Sul rapporto “difficile” tra città e sovrani normanni: G. Fasoli, Città e ceti urbani cit., pp. 147-162; P. Delogu, I normanni in città. Schemi politici ed urbanistici, in Società, potere e popolo nell’età di Ruggero II (Atti delle terze giornate normanno-sveve -Bari, 23-25 maggio 1977), Bari 1979, pp. 173-205.
[7]
Chalandon, Histoire de la domination normanne en Italie et en Sicilie, 2. voll, Paris 1907 (rist. Anast. New York 1969), II, p. 66 ; Porsia, Trani cit., p. 161.
[8]
L’Italia descritta nel “Libro di Re Ruggiero” compilato da Edrisi, a c. di M.Amari e C.Schiapparelli, Roma 1883, p. 110.
[9]
Licinio, Castelli cit., p. 114.
[10]
HB, vol. II/1, pp. 137 e 139, entrambi del 3 marzo. Nel 1215 la città si era vista confermare vecchi privilegi: HB, I/2, pp. 375-376.
[11]
Interessamenti alla comunità ebraica con concessione di privilegi e disposizione sui loro commerci in Winkelmann, Acta Imperii inedita cit., I, p. 205 e pp. 614 e 619.
[12]
HB, vol. III, p. 152, n. 3, insieme a Bari, Altamura, Ruvo, Foggia, Civitas, Troia che <<sive in rebellionem apertam sive in dubiam fide devenerant>>.
[13]
Riccardo di San Germano, Cronicha cit., p. 145.
[14]
La traduzione è della Pasquale, p. 16, desunta dal testo originale trascritto da F. Magistrale, scheda 13.5.2, in AA.VV, Federico II, Immagine e potere (Catalogo della mostra a cura di M.S. Calò Mariani e R. Cassano, Bari 1995), Venezia 1995, p. 519; Pasquale, p. 16.
[15]
Pasquale, p. 36.
[16]
HB, IV/1, p. 464.
[17]
HB, V/1, p. 411.
[18]
Winkelmann, Acta Imperii cit., p. 691; Licinio, Castelli cit., p. 180.
[19]
HB, V/2, pp. 848-849.
[20]
HB, V/2, pp. 895-896.
[21]
Il testo è riportato in Pasquale, p. 17; è conforme alla trascrizione di Sarlo e Beltrami e confermato dai rilievi fotografici compiuti durante gli ultimi restauri: Idem, p. 123, nota 19
[24]
G. Del Giudice, La famiglia di re Manfredi, Napoli 1896, p. 66; Pasquale, pp. 17 e 28, cita testualmente la cronaca dei fatti scritta ai primi del ‘700 da uno storico tranese: D. Forges Davanzati, Dissertazione sulla seconda moglie di re Manfredi e sui loro figliuoli, Napoli 1791, pp. 10-11.
[25]
Pasquale, pp. 35-41; sui ritrovamenti a seguito della liberazione delle murature sveve e sulla loro attribuzione all’età federiciana o di Manfredi: L. Pedini, Il restauro del castello (1991-1996), in Il Castello di Trani cit., pp. 165-188.
[26]
Licinio, Castelli cit, pp. 139, 141, 171; su Trani in particolare, Ivi, pp. 165-167; e Maurici, Federico II e la Sicilia cit., pp. 162-163.
[27]
Licinio, Castelli cit., pp. 160-161.
[28]
Sthamer, L’amministrazione dei castelli cit., p. 58.
[29]
Maurici, Federico II e la Sicilia cit., pp. 223-273; A. Cadei, I castelli federiciani: concezione architettonica e realizzazione tecnica, in “Arte medievale”, serie II, a. VI/2, 1992, pp. 39-97, ora anche in: Federico II e le scienze, a c. di P. Toubert e A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 253-271.
[30]
Maurici, Federico II e la Sicilia cit., p. 271; A. Castellano, Protomastri ciprioti in Puglia in età sveva e protoangioina, in Cultura e società in Puglia in età sveva e angioina (Atti del convegno di Studi Bitonto 11-13 dicembre 1987), a c. di F. Moretti, Bitonto 1989, pp. 263-269; del ruolo del Chinardo come uomo di guerra di Federico II, parla già Filippo da Novara, Guerra di Federico II in Oriente (1223-1242), a c. di S. Melani, Napoli 1994, pp. 132-133 e 194-195.
[31]
Vi si sposò in seconde nozze lo stesso re Carlo I con Margherita di Nevers nel 1268: G. Del Giudice, Codice Diplomatico del Regno di Carlo I e Carlo II d’Angiò, Napoli 1863-69, parte I, vol. II, p. 272, e il figlio Filippo con Isabella Comneno nel 1271: RA, VI, n. 309, p. 86; Pasquale, p. 29.
[32]
Vi risedette a lungo la figlia di Carlo I, Beatrice, e altre sue figlie: Pasquale, p. 29.
[33]
RA, X, n. 110; RA, X, nn. 108, 109.
[34]
Il Libro Rosso della Università di Trani, trascrizione di G. Beltrani, a c. di G. Cioffari e M. Schiralli, Bari 1995, doc. X, pp. 96, 496-497.
[35]
Sulle derrate alimentari: RA, XVIII, n. 407; RA, XXIV, nn. 119, 380 e 573, nel 1273 risultano realizzate nel castello alcune fosse (foveae) per la conservazione dei cereali: A. Haseloff, Die Bauten der Hoenstaufen in Unteritalien, Leipzig 1920, p. 333, nota 9; sulle armi e le divise: RA, II, n. 152; RA, V, nn. 336 e 337; RA, IX, nn. 42 2 66; RA, XIV, n. 356; RA, XVI, n. 323; RA, XIX, n. 384; RA, XXIII, n. 159. Pasquale, p. 34.
[36]
RA, IV, n. 1143.
[37]
RA, I, n. 37; Sthamer, L’amministrazione cit., p. 135.
[38]
Sthamer, L’amministrazione cit., p. 135; Licinio, Castelli cit., p. 248.
[39]
Ricostruzione della pianta della città di Trani nel XIV secolo a cura di B. Ronchi, Invito a Trani, Fasano 1980, riprodotta in Colapietra, Profilo cit., p. 33.
[40]
“…altezza spettacolare” la definisce la Pasquale, pp. 16 e 35.
[41]
La paludosità e la feracità dell’area è confermata anche nei secoli successivi fino al XVI secolo e anche fino al XIX: Il libro rosso cit., App. VI, p. 681; Pasquale, p. 35 e n. 73.
[42]
Sthamer, L’amministrazione cit., p. 105.
[43]
Pasquale, p. 35.
[44]
HB, I/1, p. 111: la cancelleria regia del giovane Federico II, nel confermare alcuni diritti a degli enti religiosi, già concessi da re Tancredi, nomina dei terreni <<de vineis et orto […] in paluda nostra Baroli>>; in Colapietra, Profilo cit., p. 13.
[45]
Pasquale, p. 36.