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L’attuale aspetto dell’edificio castellare di Barletta è il frutto dell’imponente ricostruzione degli ingegneri Vicereali spagnoli che, nel XVI secolo, ampliarono le strutture esistenti risalenti in gran parte all’età svevo-angioina e aragonese, e adeguarono l’edificio alle nuove esigenze e tecniche belliche che prevedevano l’uso delle armi da fuoco e delle artiglierie.
L’edifico appare oggi ampiamente interrato ed è così difficile coglierne l’originale collocazione prospiciente al mare, anzi è difficile immaginare che il mare lambisse la costa alta su cui sorge l’intera città di Barletta e si addentrasse nel fossato del castello.
Per tutto il medioevo e oltre la linea di costa, infatti, ha coinciso con le attuali vestigia delle mura cinquecentesche che cingono il naturale plateau, alto diversi metri sul livello del mare, su cui sorge Barletta. Le attuali spiagge sabbiose a ponente e a levante della città, come l’interramento del castello, sono il frutto della costruzione del porto ottocentesco che ferma i detriti del fiume Ofanto trasportati a sud dalle correnti marine.
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I documenti relativi alla ricostruzione angioina degli anni ’70 e ’80 del ‘200 sono in tal senso molto chiari nel definire il fronte nord del castello come affacciato direttamente sul mare.
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Tale insabbiamento era già un fenomeno conosciuto in epoca medievale visto che a più riprese si sentì la necessità di prolungare l’unico braccio dell’antico porto per ovviare al suo progressivo insabbiamento.
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Quando, come vedremo, nella prima fase dell’insediamento normanno, nella prima metà dell’XI secolo, il castello di Barletta fu probabilmente fondato al limite estremo orientale del centro cittadino, esso si trovava, quindi, là dove la cinta muraria, probabilmente contemporanea, incontrava la linea di costa, in uno dei punti, cioè, più deboli di qualsiasi sistema difensivo di una città costiera.
Invero delle fonti ben poco verificabili citano l’esistenza di una residenza dell’autorità bizantina all’estremo opposto della città, ad occidente, ma sempre sulla linea di costa e prospiciente al mare, quindi in posizione analoga ma speculare rispetto al sito normanno.
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I normanni scelsero strategicamente il punto più alto del plateau roccioso su cui si stendeva la Barolum medievale, non lontano dalla sorgente cattedrale romanica, nei pressi cioè di uno dei punti più anticamente frequentati dell’intera area urbana
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: l’attuale quartiere di Santa Maria, il nucleo più antico della città.
La fortificazione di Barletta avvenne secondo Guglielmo Appulo intorno alla metà degli anni ’40 dell’XI secolo ad opera del normanno Pietro conte in pectore di Trani. Afferma Guglielmo che <<… Edidit hic [Petrus] Andrum, fabricavit et inde Coretum; / Busilias, Barolum maris aedificavit in oris>>.
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Pietro non fondò alcuna di queste città, egli però le fortificò e significativamente il cronista mette in relazione le fortificazioni di Barletta e Bisceglie al mare: lo scopo immediato era quello di impadronirsi della città di Trani che era ancora tenuta dai bizantini.
Un fortilizio nel punto suddetto avrebbe garantito, come è verificabile da chiunque salga sugli spalti dell’attuale castello, il controllo della città, del porto, della porta e delle strade che portavano a Trani e Andria, più in lontananza della strada che porta a Canosa, e infine la vista delle stesse cittadine di Trani e di Andria: una posta sotto assedio l’altra importante caposaldo normanno. Non si deve inoltre dimenticare il controllo del mare, che ancora restava per i normanni un’area non presidiata.
A rafforzare l’idea che oggi si può trarre osservando l’orizzonte dominato dagli spalti cinquecenteschi, è necessario ricordare che la antica torre normanna, identificata con sufficiente certezza dai recenti restauri, fu ridotta in altezza a filo del nuovo lastricato cinquecentesco. Essa quindi essendo più alta dell’attuale struttura superstite avrebbe permesso il dominio di un più vasto orizzonte. Inoltre la stessa torre, individuata come la più antica struttura ancora esistente nel complesso del castello di Barletta, è perfettamente in asse con la direttrice Barletta-Andria coincidente con l’attuale strada perfettamente rettilinea che collega i due centri. Tale torrione, quindi, aveva tra i suoi scopi quello di mantenere un contatto visivo diretto con il centro dell’interno con funzioni di allarme e comunicazione tra i presidi delle due città.
Considerata, quindi, la collocazione dell’edificio possiamo affermare che in età normanna, il “castello” di Barletta sembra aver assolto alle funzioni riconosciute dei castelli normanni meridionali nelle città della costa: controllo e difesa urbana e costiera, inserimento in un sistema castellare di controllo territoriale che nel caso di Barletta aveva come punti di riferimento visivi diretti il castello e/o le mura di Trani e Andria e come riferimenti strategici i castelli e le fortificazioni di Canosa e Canne.
Trani fu presa da Pietro solo nel 1054. Da questa prima vicenda e già dalla fondazione normanna, risulta chiaro il ruolo di queste fortificazioni nel controllo del territorio e delle più importanti vie di comunicazione. Si è già detto del territorio e delle strade che si tengono sott’occhio dal castello di Barletta, ma questo controllo diventa completo se Barletta viene messa in contatto con Andria, questa con Corato e questa infine con Bisceglie. I normanni compresero l’importanza di questi centri e ne esaltarono la posizione geografica, dapprima in senso antibizantino per la conquista di Trani, poi per il controllo del territorio e la sua difesa, con la fortificazione e il castello di quest’ultima città adriatica.
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A conferma del ruolo strategico ricoperto in particolare da Barletta, questa città non appartenne per molto alla contea di Trani, e passò alle dirette dipendenze del Guiscardo.
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Re Ruggiero occupò nel 1133 Barletta a danno del conte Goffredo di Andria cui non fu più restituita.
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Il possesso da parte dei conti andriesi mostra ancora l’importanza strategica del porto e delle fortificazioni di Barletta, compreso il castello, per le aree interne della regione e del territorio.
Il castello fu protagonista della riconquista del territorio da parte di re Ruggero dopo la discesa di Lotario: <<Rogerius oppidum Baroli cum arce a Lothario Imp. Ereptum recepit ann. 1137>>.
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Lotario, preso possesso del Gargano, aveva seguito la direttrice adriatica in direzione di Bari: era però stato costretto a porre l’assedio alla fedele Barletta
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, mentre Trani, come vedremo, gli aveva aperto le porte.
Da questo momento le dimostrazioni di una particolare predilezione dei sovrani per questa città si infittiscono. Nel 1159 Barletta e le sue fortificazioni appaiono in tutta la loro importanza per il mantenimento della pace interna: Majone, infatti, per ordine del re, giunge in città per “metterla in guardia” contro la rivolta del Regno.
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Nel 1166 Guglielmo, per punire i colpevoli di una rivolta baronale-contadina, sceglie Barletta per ammonire tutta la Puglia facendovi giustiziare alcuni prigionieri.
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Guglielmo il Buono fa di Barletta la base del pellegrinaggio del 1172 al monastero di S. Michele, fermandovisi per diverso tempo sia all’andata che al ritorno: <<…et post haec Barulum rediit, et ibi aliquantis diebus demoratus est>>.
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Alla morte di Tancredi, durante la seconda discesa di Enrico VI nel 1194 la città fu occupata e saccheggiata “senza contrasto” dalle truppe imperiali comandate dallo stesso Enrico
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.
Quale fosse l’aspetto del castello, l’ampiezza e la pianta del primitivo insediamento castellare normanno e la sua evoluzione fino alla fine del XII secolo non ci è dato sapere con certezza. In soccorso ci giungono i risultati dei recenti restauri.
A seguito dei ritrovamenti e delle analisi strutturali e stratigrafiche Grisotti, infatti, attribuisce all’età normanna la sunnominata Torre di sud-est, inglobata per tre lati nella struttura cinquecentesca, visibile dal cortile interno e sita nell’angolo appunto di sud-est, presso l’ala sveva. La torre era certamente, almeno parzialmente, isolata essendo state ritrovate due finestre, successivamente tompagnate, sui lati sud ed ovest.
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Ma il riconoscimento dell’appartenenza di questa torre all’età normanna (è evidente il bugnato rustico che si differenzia chiaramente da quello cinquecentesco; evidente la differenza di dimensione e tessitura dei conci rispetto alle murazioni cinquecentesche e svevo-angioine; mancano i solai in muratura per cui la torre era divisa in piani tramite solai in legno), non è in grado di risolvere i dubbi sulla forma del castello. A soli 70 cm dalla faccia sud della torre, verso il fossato, è stato ritrovato un muro con direzione est-ovest, del quale non è stato possibile studiare la faccia esterna, nel quale si aprono due archi. Seguendo Grisotti è possibile interpretare la situazione dividendo gli interventi normanni in almeno due fasi: prima fase consistente nella costruzione di un recinto murato presumibilmente quadrato e turrito, in cui si aprivano questi due archi; seconda fase: chiusura delle aperture suddette e innalzamento della torre nell’angolo sud-est del presunto recinto proprio, come detto, in asse con la direttrice verso Andria e in posizione dominante sulla porta verso Trani della città. Questa seconda fase apparterrebbe al tardo XII secolo.
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La presenza di più fasi e l’attribuzione all’ultima età normanna della Torre su-est è il riflesso diretto del ruolo strategico militare, politico ed economico attribuito al castello e alla città.
Nel convulso e lungo periodo di interregno tra la morte di Enrico VI, infatti, Barletta e il suo castello giocarono un ruolo ancora una volta importante per il controllo strategico della Puglia centro settentrionale e il possesso del Regno.
Durante la minorità di Federico II, infatti, nel 1202, nel momento di massima conflittualità con Guglielmo di Palearia, tutore del giovane re, papa Innocenzo III, figura dominante del periodo, invitava il suo maresciallo Jacopo dei Conti di Segni e il conte Gualtieri di Brenna, suo principale alleato nel Regno, ad entrare in possesso dei castelli di Melfi, Rapolla, Barletta e Andria e della contea di quest’ultima città.
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L’obiettivo, come è noto, era la messa in crisi della contestuale successione del giovane Federico alla corona del Regno e a quella imperiale,
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ed infatti la stessa lettera afferma esplicitamente che per procedere verso la Sicilia dove risiedeva il re bambino, era necessario mantenere il possesso della Puglia.
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Per quel che riguarda il nostro discorso si tratta di un documento di grande importanza e significato in quanto si intravede per la prima volta per il castello di Barletta un ruolo che va al di là di quello del controllo territoriale dell’area immediatamente circostante o del suo ruolo di difesa passiva costiera.
Il castello, oltre alla funzione di migliorare il controllo della contea di Andria assegnata dal papa a Jacopo de Conti, in realtà sembra essere percepito e considerato come il nodo terminale adriatico di una linea ideale di presidio del territorio che scendendo dalle montagne lucane, dalle pendici del Vulture, giunge all’adriatico. Una linea che corre a fianco del fiume Ofanto, partendo da Melfi, la porta di Puglia
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, e toccando presumibilmente Canosa e Canne giunge all’Adriatico all’altezza di Barletta-Trani: niente di più che la via che staccandosi dalla via Appia-Traiana raggiungeva la direttrice adriatica che scendendo da Siponto, a Bari si collegava con la via Traiana per raggiungere Brindisi. Lo stesso percorso fatto da Lotario III e Innocenzo II nell’estate del 1137, provenendo da Trani,
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in direzione nord. È significativo inoltre, come vedremo, che a completamento di questo presidio politico-militare venisse ritenuto essenziale proprio il possesso della città di Andria e dell’intera sua contea.
Dopo la sconfitta del Palearia a Canne il castello di Barletta venne affidato direttamente e personalmente al suddetto maresciallo Jacopo. È ancora una volta significativo che il possesso del castello di Barletta fosse direttamente collegato alla nomina dello stesso Jacopo e di Gaultieri al ruolo di Magistros et Justitiarios Apuliae et Terrae Laboris
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.
Allontanatisi entrambi da Barletta, nel 1203, i cittadini assediarono la rocca e costrinsero il castellano a riconsegnarla: <<Barolitanenses castrum Baroli obsederunt, et coegerunt Castellanum quem ibi dimiserat Marescalcus, sibi resignare Castellum>>
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ma non abbandonarono il campo papale.
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I cittadini quindi mostrarono la loro insofferenza verso un castello occupato in nome del conte di Andria, memori dei loro diritti di città di regio demanio.
Da questo momento per diversi decenni il castello di Barletta scompare dalle fonti storiche e documentarie. Quasi certamente quando, nel 1220, Federico II prese definitivamente e stabilmente possesso del Regno, il Castello di Barletta portava i segni dell’assalto avvenuto 17 anni prima e versava in uno stato di trascuratezza se non di abbandono.
La prima presenza certa di Federico II a Barletta è documentata nel marzo del 1228 per celebrarvi la pasqua il 26 dello stesso mese. Qui rimase almeno fino alla fine di aprile quando vi fu celebrata l’importante Curia generale tenuta prima della partenza per la crociata.
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Nel frattempo nella vicina Andria, all’interno presumibilmente degli appartamenti imperiali nel castello di quella città, nasceva il secondogenito dell’imperatore, Corrado, che Federico faceva in tempo ad inserire nell’asse successorio dettato ed emanato nell’ambito della stessa Curia generale.
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La convocazione della affollatissima Curia generale in Barletta durante la quale, appunto, l’Imperatore dettò le sue volontà in forma di testamento; il risiedere in questa città per settimane se non per mesi in preparazione della quinta crociata; la scelta di far risiedere e partorire la sfortunata consorte Iolanda nella vicina Andria, mostrano il ruolo fondamentale di questa zona del Regno e fanno di Barletta, un nodo centrale della politica internazionale e militare dello svevo. Logisticamente tutto ciò non sarebbe stato possibile senza la presenza di un edificio adatto alla residenza dell’Imperatore, all’alloggiamento delle truppe e dei funzionari al seguito, per questo riteniamo di poter dire che a quella data il castello di Barletta avesse già ricevuto delle cure tali da renderlo fortezza munita ed ospitale. È noto, infatti, come l’Imperatore negli anni immediatamente seguenti alla Costituzione Capuana del 1220 e certamente prima della partenza della crociata, significativamente rimandata, avesse provveduto ad una prima rifortificazione del Regno attraverso restauri, ampliamenti, adattamenti a nuovi scopi, dei castelli demaniali, posseduti o sottratti ai signori feudali, già presenti sul territorio.
Barletta, quindi, apparterrebbe con certezza alla prima fase dell’incastellamento svevo, al di qua dello spartiacque costituito dalla crociata e dalla guerra con Gregorio IX, “nel quadro di una strategia che mira a privilegiare la difesa della costa e il rafforzamento sui territori più importanti”.
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E confermando quel legame già da noi individuato tra Melfi e Barletta, questi due edifici sarebbero stati i primi ai quali, tra Puglia e Basilicata, Federico II mise mano.
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Nulla di diretto sappiamo relativamente ai lavori a Barletta o nel castello di Andria in questa fase, ma intravediamo già uno schema, un progetto per questa zona della Puglia: rafforzarne il ruolo di territorio chiave del possesso della regione e del Regno; aumentarne il controllo e la difesa, per controllare e difenderne le genti, i porti, i prodotti; farne un luogo dove l’Imperatore potesse risiedere circondato da castelli e residenze. Ma gli interventi non devono essere stati di scarso rilievo e poca spesa se già tra il 1223 e il 1225 Tommaso di Gaeta lamentava le eccessive spese per la difesa e le fortificazioni che affamavano il popolo e lo allontanavano dalla fedeltà all’imperatore.
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A rafforzare l’immagine di tale disegno giunge la testimonianza che Federico II, nel 1229, di ritorno dalla Terra Santa, giunto a Brindisi, si recò immediatamente a Barletta ove risedette per 20 giorni, tra maggio e giugno, e da dove mosse contro l’esercito pontificio invasore: <<copiosum exercitum tam de regnicolis quem de Theotonicis congregare cepit, et ultimo augusti de terre Baroli recessit>>.
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Barletta è quindi base di partenza per un copioso esercito, sede strategica di partenza dell’Imperatore, luogo in cui questi si sente al sicuro. Il castello non appare citato, ma è sottintesa la sua presenza: anche questa volta, infatti, lo svevo risiede in città da giugno alla fine di agosto
[32]
e certamente dovette abitare nella fortezza visto che considerava infido l’atteggiamento della stessa città e di Andria che <<inter turbationes regni Friderico constanter adheisse videtur>>.
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Ancora una volta Barletta è la base per operazioni militari e politiche di rilievo nel 1235. Mentre, come vedremo, già fervevano i cantieri del castello di Trani e di Castel del Monte, nel gennaio di quell’anno, Federico II giunse a Barletta da dove emanò un mandato e invia una lettera al figlio Enrico ribelle
[34]
prima di partire per la campagna militare che lo porterà in Germania a sottomettere ed imprigionare proprio il primogenito.
Nel 1239, Barletta, insieme a Siponto, viene promessa in feudo ai veneziani da papa Gregorio IX, sottintendendo che l’invasione delle terre di Puglia dovesse avvenire proprio da questi due luoghi in quanto la promessa si allarga a tutte le terre che saranno conquistate partendo da queste due città.
[35]
Si conferma così il ruolo di porta costiera adriatica del Regno già individuato dall’imperatore.
A conferma di questo ruolo nello stesso 1239, il castello di Barletta insieme ai vicini castelli di Trani e Canosa, viene inserito nell’elenco dei Castra exempta del Regno.
[36]
L’inclusione in questo ristretto elenco di poco più di 80 edifici su tutto il Regno
[37]
, del castello di Barletta e, come si è detto, del castello di Trani, assegna a queste strutture un ruolo di fondamentale importanza nel sistema castellare federiciano. Si trattava di edifici, come è noto, per i quali l’Imperatore si riservava la nomina e la rimozione dei castellani,
[38]
lasciando invece ai provisores castrorum, figura ufficialmente istituita nello stesso 1239, gli altri compiti amministrativi e gestionali.
[39]
Si tratta ovviamente di edifici strategicamente rilevanti il cui controllo non poteva essere perso dall’imperatore, per imperizia di qualche provisor e per la nomina di un castellano poco fidato.
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Segno probabilmente della ricchezza e popolosità di Barletta è l’assegnazione ai soli abitanti della città dell’onere delle riparazioni e quindi della manutenzione dell’edificio castellare così come si statuisce nell’inchiesta sulle strutture castellari del Regno detto impropriamente Statutum de reparatione castrorum
[41]
. In realtà si tratta di un’inchiesta sugli oneri della manutenzione dei castelli secondo quanto statuito già in età normanna
[42]
, e Barletta, insieme ad Andria, si segnalano come delle rarità in Terra di Bari e nel Regno, all’interno di un sistema che prevedeva, invece, che tali oneri fossero normalmente assegnati o ad uomini di altre località, o che comunque accanto ai cittadini del luogo contribuissero uomini di altre terre più o meno distanti.
[43]
Nel 1240, il castello di Barletta è utilizzato come sede carceraria di uno dei prigionieri padovani assegnati ai cittadini della città
[44]
: in quell’anno, infatti, dietro richiesta di Angelo della Marra, l’imperatore esonera il vecchio padre di questi, dalla diretta custodia sul prigioniero, che quindi viene affidato al castellano Alferio.
[45]
Nello stesso anno, inoltre, si ordina di assegnare armature, il massimo possibile, alla piazza di Barletta
[46]
: anche se non si specifica se il castello o la città fossero la destinazione finale di tali armature, c’è da pensare che esse dovessero essere custodite nella fortezza. Tale nota collegata alla notizia della presenza di un contingente saraceno in città e nel castello
[47]
, assume ben altro rilievo, così come assumerebbe ancor più rilievo il ruolo del castello di Barletta. Come è noto, infatti, da più parti si è affermato che Federico II ritenne i saraceni la costola più fidata del suo esercito e della sua forza militare. L’aver affidato loro il presidio della fortezza e della città, associato alla inclusione tra i Castra Exempta e alla precoce attenzione rivoltagli, farebbe del nostro castello realmente uno dei cardini del sistema castellare svevo.
Racconta Matteo Spinelli da Giovinazzo, che nel 1248, tale Pauluerio della Marra, membro di una potente famiglia nobile di Barletta
[48]
, uccise un “saracino”, riuscendo a fuggire perché protetto dai barlettani che furono, quindi, condannati a pagare1000 augustali. Ma la vicenda aveva un importante e, per noi, significativo seguito, alcuni mesi dopo quando i cittadini offrirono all’allora Principe di Taranto, Manfredi, ben 2000 augustali per far allontanare da Barletta <<l’alloggiamento delli Saracini>>.
[49]
Ancora a cavallo del 1250 lo stesso Spinelli tramanda l’esistenza di un Mastro Portolano saraceno di nome Zaid.
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Federico II, è segnalato a Barletta, quindi nel suo castello, ancora nel 1242
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e infine nel 1246 per due volte, la prima a maggio, la seconda in ottobre per un Colloquium Generalis
[52]
.
Nel 1249, in un momento di crisi militare particolarmente grave per Federico II, la difesa del castello fu affidata a ad un uomo evidentemente ritenuto particolarmente fedele e fidato: tale Aimerico di San Severo
[53]
, con l’evidente motivazione di scegliere un uomo che non fosse barlettano.
Morto Federico, Barletta e il suo castello, assumono un ruolo centrale nei primi tormentati anni dell’età di Manfredi in senso negativo per la dinastia sveva. Andria e Barletta furono, infatti, tra le prime città e ribellarsi allo svevo, e la nostra venne considerata città capofila della rivolta.
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Manfredi si era attestato nel castello di Canne da dove, non avendo ricevuto l’omaggio di fedeltà richiesto, mosse verso le mura della città dove trovò chiuse le porte e pieni i bastioni di armati. Tali erano le difese organizzate dai barlettani con “propugnaculis” e “lignaminum […] oppositionibus” che gli uomini del sovrano esitavano, ma Manfredi smontò da cavallo e guidò i suoi alla conquista di una porta con tale impeto che ben presto fu in città, dove fece innalzare il vessillo “Principis” e della quale fece abbattere le mura dando un forte segnale a “omnes aliae Civitates Apuliae” ribelli che guardavano a Barletta. Significativamente Jamsilla conclude il brano affermando che dopo questo evento la pace fu restaurata in tutto il Regno.
[55]
Nel 1252 giunse a Barletta l’imperatore Corrado, sbarcato a Siponto, accoltovi da Manfredi e altri baroni per farvi dimora per qualche tempo. Quindi vi sarebbe ritornato nel dicembre del 1253 dove tenne udienza con tutti i rappresentanti di Terra di Bari.
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Nella ribellione del 1255, nella paura di un nuovo saccheggio da parte delle truppe tedesche e saracene di Manfredi che gridavano: a Barletta, a Barletta, i cittadini inviarono al re dei legati per sottomettersi. Le milizie papali si ritirarono nel castello e qui si fortificarono. Manfredi, all’inizio del 1255 vi si recò per riprendere il castello, ma a causa del freddo si ritirò, non essendo possibile proseguire le attività belliche. Allora giunse da Monopoli un comandante saraceno, Zaid (lo stesso Mastro Portolano segnalato a Barletta nel 1250?), per riprendere tutta la Terra di Bari. A quel punto i pontifici e i barlettani ribelli avrebbero abbandonato il castello e la città, non essendo ricordato nessun fatto d’arme mentre Barletta tornò a Manfredi.
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Durante la rivolta capeggiata da Bertoldo di Hoenburg e dal Legato pontificio, Manfredi, che era a Trani, si recò in fretta a Barletta, consapevole dei tentennamenti della città e della Puglia, e memore del recente ruolo di capofila tenuto dalla città. Manfredi però fu costretto a recarsi a Lucera, per cui Bertoldo, giunto a Trani e quindi a Barletta, spinse queste città e tutte le altre località costiere di Terra di Bari a passare dalla sua parte. I pontifici, si ritirarono solo nel settembre del 1255, in base all’accordo di Foggia.
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Terminate le rivolte secondo lo Spinelli dal 1256 cominciò quel lungo periodo durante il quale Manfredi risedette a Barletta quasi ininterrottamente fino al 1260-61: vi celebrò la candelora del 1256; vi convocò una Curia generale del regno nello stesso anno; vi ricevette “con grande honore” gli ambasciatori della regina vedova di Corrado e madre di Corradino; dopo l’incoronazione a Palermo nel 1258, vi ritornò per stabilirvisi e seguire la costruzione di Manfredonia, tranne alcune puntate a Foggia; vi tornò con certezza nel dicembre del 1259 dopo le nozze con Elena Comneno avvenute a Trani.
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Manfredi, quindi, sulle orme e ancora di più del padre, manifestò la sua predilezione per Barletta come città strategicamente rilevante per il mantenimento del potere su tutto il regno, ed è da credere che in tutti i suoi anni di regno e di residenza in città abbia messo mano almeno alla zona residenziale del castello. Come vedremo, questa ipotesi risulta sostanzialmente confermata dalle analisi delle strutture murarie e sulla conformazione degli ambienti nella zona est del castello.
Dopo la battaglia di Benevento, il nuovo sovrano Carlo I d’Angiò, si impossessò di quasi tutte i castelli federiciani. Al castello di Barletta è legata la travagliata vicenda del cantiere angioino che ebbe inizio, almeno da quanto ci dicono le carte, nel 1269. Il 20 aprile di quell’anno, infatti, re Carlo I affermava di essere a conoscenza che i cittadini di Barletta, per consuetudine, erano tenuti a riparare di tasca propria il castello della città.
Tale affermazione era la logica premessa all’ordine contenuto nello stesso documento, indirizzato al giustiziere di Terra di Bari di avviare lavori di riparazione (facias reparare) a spese dagli stessi barlettani.
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Il 3 maggio 1274 il sovrano emanava da Barletta lo statuto sul numero di castellani, serventi e custodi previsti per ogni castello siciliano
[61]
. Bisogna presumere, quindi, che in questa occasione il re soggiornasse nel castello che doveva risultare abitabile e in grado di ospitare la corte. Da queste notizie ricaviamo quindi con sostanziale certezza che il castello svevo di Barletta, così come ereditato da Carlo I, fosse un edificio con caratteristiche funzionali abitative sufficienti ad un sovrano e che fino al 1275 fossero ritenute sufficientemente garantite le sue funzioni militari e strategiche.
Dall’8 giugno 1276 si comincia a parlare esplicitamente di nuove strutture, ossia di una torre e della “domus”, la cui costruzione doveva già essere stata ordinata. Sul cantiere compare per la prima volta Pietro de Angicourt. Il sovrano, infine, prevede di essere a Barletta in settembre e vuole dimorare nel suo castello.
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Nulla sappiamo di questa visita ma a conferma della abitabilità, Carlo I giunse a Barletta il sabato innanzi la domenica delle Palme del 1277
[63]
. Gli ambienti in cui il sovrano e la sua corte potevano risiedere erano ancora e solo quelli risalenti all’età sveva come quelli, se non proprio i medesimi, tuttora esistenti nel fronte verso Trani
[64]
. Ciò si ricava chiaramente dai documenti successivi dai quali risulta come i nuovi ambienti residenziali progettati dall’Angicourt risultassero ancora incompleti.
Il documento del 3 giugno 1277, infatti, contiene il primo elenco esplicito dei lavori da fare e dei costi relativi: la costruzione di muri “maccie” (poi detti taluti) su tre lati; un arco, dal pavimento al solaio, all’interno del palazzo nuovo del castello; due muri di tufo negli stessi appartamenti; un muro per l’appartamento della “carissima” conserte del sovrano, fino al tetto; una terracia di pietra nella sala e nella camera dello stesso palazzo; un camino e la canna (cannone); una cappella, con finestra sull’altare e porte; una non meglio specificata estensione di muro verso la città; una falsa posterula nella stessa zona.
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Ancora il 23 luglio 1277, il re è costretto a chiedere spiegazioni al giustiziere, avendo saputo che nelle opere murarie di Mola, di Bari e del castello di Barletta <<que de novo fieri mandavimus>> niente è stato cominciato né realizzato.
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I lavori angioini nel castello di Barletta in realtà si protrarranno fra intoppi, accelerazioni, sospetti di malversazioni e cambiamenti di progetto in corso d’opera fino almeno al 6 maggio 1282,
[67]
quando si interrompe l’eccezionale serie di documenti conservati. Tali documenti esulano cronologicamente dalla presente trattazione ma il confronto tra la loro lettura e le indagini effettuate durante il recente restauro, risultano fondamentali per conoscere il castello svevo.
Il risultato di questo confronto ci porta a dire con Grisotti
[68]
che il castello svevo di Barletta aveva forma rettangolare, allungata sui lati nord-mare e sud; il cortile corrispondeva a circa la metà di quello attuale tagliandolo secondo la direttrice est-ovest
[69]
; possedeva una porta verso Trani esistente nel 1276
[70]
a lavori angioini appena iniziati; certamente di epoca sveva è tutto il fronte est verso Trani compresi i resti della torre nell’angolo nord-est, affacciantesi allora sul mare,
[71]
ed una probabile torre angolare a sud-est completamente scomparsa nel ‘500; il recinto svevo proseguiva sul fronte sud, dove ora si apre la porta cinquecentesca, fino a raggiungere la torre “antiqua” crollata nel 1278
[72]
; il recinto proseguiva verso nord-ovest e il porto fino a congiungersi ad un’altra torre quadrata d’angolo di cui tuttora sono visibile le fondazioni; il recinto si chiudeva sul lato nord, verso il mare, con una murazione scomparsa in epoca angioina per la costruzione del palazzo regio di Carlo I.
Tale ricostruzione ideale porta il castello di Barletta ad un confronto diretto con una serie di strutture castellari occidentali di area francese e tedesca già attestate tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo: recinti murari quadrati o rettangolari, con una o più torri angolari, più raramente una torre isolata nel cortile, ambienti residenziali e/o funzionali alla vita del castello lungo uno o più lati.
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In particolare ci sembra di poter fare un confronto diretto con alcune ricostruzioni di castelli di area sveva come quello di Babenhausen e soprattutto con il Wasserburg di Lahar nel Baden-Wuttenberg, il primo costruito presumibilmente nel 1200, il secondo nel 1218-20, proprio mentre Federico II risiedeva nella vicina Strasburgo.
[74]
In epoca angioina, quindi, furono realizzati: un circuito di alti muri, lungo tutto il perimetro dell’edificio già esistente; un fossato su tre dei quattro lati, escludendo ovviamente quello a nord-mare; un “palatium” confortevole con appartamenti per la coppia reale sullo stesso fronte nord; una torre tonda e un nuovo muro connesso ad ovest, in sostituzione di quelli crollati, come si è detto; una cappella e altri locali detti “appendici”.
Ciò che fa propendere per questa ricostruzione sono alcuni elementi e documenti chiave: fino al giugno 1276 si parla solo di “reparatione” o di “opere castri nostri Baroli”
[75]
, per cui il castello è dato per esistente e, come abbiamo visto, abitabile anche dal sovrano; nel giugno del 1276 si parla di una torre e di una “domus” da farsi nel castello
[76]
; tale progetto sembra essere stato abbandonato presto se nel 1277, come si è visto, Carlo I ordina di terminare il suo “palatium” aggiungendo di costruire una cappella e le “macias extra castrum”
[77]
; oltre al crollo della torre “antica”, e dell’accenno suddetto ad una “turris” non meglio definita, forse mai realizzata, nella documentazione angioina non si parla mai di torri e muri inerenti direttamente il castello se non per il “palatium” e successivamente si parla sempre e solo di una torre tonda come dell’unica da realizzarsi: difficilmente sarebbero sfuggiti ad una documentazione così copiosa i lavori per una nuova torre
[78]
; non sfuggono alla documentazione i lavori di sopraelevazione della torre verso il porto, data per esistente
[79]
; la sommaria descrizione data nell’ordine per la costruzione del fossato coincide con quella suddetta
[80]
; infine non si parla mai di opere nei lati est e sud, che dobbiamo considerare dotati di strutture già consistenti e sufficienti.
Sul lato est, infatti, si situa la più consistente testimonianza del castello svevo: le celeberrime aquile ad ali spiegate scolpite nelle lunette di due finestre di quella fronte interna del cortile del castello attribuita, in base a complesse verifiche strutturali e architettoniche, all’età sveva appunto, pur con una certa oscillazione temporale. Grisotti, infatti, assegna l’ala ad almeno due fasi di intervento: una, la prima, risalente all’ultima età normanna, contemporanea all’innalzamento della torre di sud-est ancora visibile, o alla prima età sveva, tra il 1220 e il 1228; l’altra intervenuta in un secondo momento dell’età sveva oscillante tra la metà degli anni ’30 e la metà degli anni ’50 del XIII secolo, ossia nel periodo in cui re Manfredi scelse il castello di Barletta come sua residenza privilegiata.
[81]
Molto si è detto riguardo alla posizione strategica del castello di Barletta rispetto ad Andria e a Trani: diretto e ottimale collegamento visivo con il castello di Trani, e controllo della palude e della linea di costa ad est della città; collegamento visivo diretto con Andria e il suo castello, attestato con certezza tra XII e XIII secolo, alla medesima distanza di Trani.
Resta da sottolineare il collegamento con Castel del Monte che risulta visibile, ma forse troppo lontano per una comunicazione diretta. Elemento chiave, a nostro modesto parere, diviene proprio la posizione di Andria, praticamente a metà strada tra Barletta e la collina del castello, che poteva assolvere facilmente da amplificatore e trasmettitore visivo grazie al suo castello, alle mura urbane e all’alto campanile della Cattedrale. Basterà osservare la pianta dell’area medievale del centro di Andria per osservare come il castello, situato probabilmente laddove oggi sorge Palazzo Ducale, si trovasse proprio all’imbocco delle strade che portavano a Barletta e Trani che qui convergevano nell’attuale Piazza Catuma; nello stesso isolato insiste la Cattedrale con il suo campanile
[82]
. Tale unico isolato sorge nel punto più alto della città.
Tale discorso di collegamento visivo tra il castello di Barletta e Castel del Monte attraverso il nodo di Andria, vale, come vedremo, anche per il castello di Trani.
Il repertorio dei castelli, infine, riporta tra Barletta e Andria numerose torri, di cui sul terreno rimarrebbero tracce, in particolare si tratterebbe di ben cinque torri: due dette “Torre della Guardia”, altre dette “La bianca”, “Tampone”, “De Simone”.
Fra Barletta e Trani, proprio a metà strada lungo la linea di costa, in corrispondenza dell’antica foce dell’Aveldium, la medesima fonte segnala l’esistenza di una torre detta “di Pilato”. Tra Andria e Castel del Monte sono segnalate altre diverse torri anche se non posizionate lungo una direttrice lineare: torre di “Coppe”, “Lazzarelli”, “Paparicotta” e “di Maggio”.
[83]
[1]
Basti osservare le diverse piante della città prodotte fino al XIX secolo per rendersi conto di come il castello di Barletta, sia pur nella sua ultima redazione cinquecentesca, sul fronte nord si affacciasse sul mare: C. Gambacorta, Pianta delle fortificazioni di Barletta, 1598-99, Biblioteca Nazionale di Venezia, in Grisotti, p. 26, fig. 14; Anonimo, Progetto di ristrutturazione delle fortificazioni di Barletta, XVII secolo, Galleria Nazionale degli Uffizi - Firenze, Gabinetto dei disegni, in Grisotti, p. 30, fig. 20. Già alla fine del XVIII secolo il fenomeno dell’insabbiamento aveva interrato il castello che comunque restava poco distante dalla linea di costa, come evidenzia la notissima pianta della città di G. Pastore, Prima pianta dimostrativa della fedelissima città di Barletta, 1795, in P.L. Vinella, Alla scoperta delle antiche mura, Barletta 1991, p. 20. Per un quadro chiaro della differenza tra la linea di costa fino al ‘700 e quella attuale: Domenico di Bari, Urbanistica dell’Ottocento in Puglia, Bari 1984, fig. 84, in A. Ambrosi, Considerazioni sulla città di Barletta dopo la campagna di scavi nella Cattedrale, in Dalla chiesa alla civitas. Nuove acquisizioni dagli scavi archeologici nella Cattedrale di Barletta (Atti dell’incontro di studi, Barletta 15 marzo 1997), Barletta 2000, tav. IV, p. 90. Grisotti inoltre pubblica una pianta con le altimetrie evidenziando le diverse quote dell’area intorno al castello che salgono repentinamente lungo l’antica linea di costa che passava a metà circa dell’attuale castello, in coincidenza del lato nord del castello svevo-angioino: Grisotti, p. 191, tav. 1.
[2]
E’ tutto il complesso dei documenti di età angioina relativi al restauro e poi “ricostruzione” del castello di Barletta a mostrare come il lato nord fosse bagnato dal mare: Sthamer, Dokumente cit, n. 700, pp. 51-52.
[3]
Oltre alle piante citate in nota 3, che rappresentano l’unico molo della città, è necessario citare il rescritto del 1300 con il quale re Carlo II d’Angiò, ordina, dietro richiesta dei cittadini di Barletta, la ricostruzione del molo-porto <<que brevis esse dinoscitu>> affinché sia esteso in lunghezza e in larghezza. A giustificazione di questo intervento di afferma che l’invaso marino non era sufficiente ai navigli e ciò provocava danno alla città e al fisco in S. Loffredo, Storia della città di Barletta, 2 voll., Trani 1893 (d’ora in poi Loffredo), II, Documenti, doc.XXIX, p. 328.
[4]
L’unica notizia su di un edificio che rappresentasse l’autorità pubblica nella Barolum prenormanna è nell’anonimo redattore secentesco della vita di S. Ruggiero. Questi, infatti, parla di una <<abitazione e fortezza dell’Imperatore de’ Greci>> collocandola laddove poi sorsero il monastero e la chiesa di S. Stefano alla estrema periferia occidentale dell’abitato: Loffredo, I, p. 146 e nota 49 di p. 46. Di fronte all’edificio che avrebbe ospitato i rappresentanti di Bisanzio si apre una spianata triangolare in cui si svolgevano fino alla metà di questo secolo, con una continuità d’uso eccezionale, i mercati e le fiere della città. Tale piazza è detta “Paniere del sabato” dalla parola greca “paneiros”, mercato. L’ipotesi quindi non è del tutto incredibile e priva di fondamento, vista anche la continuità d’uso dell’area anche come sede del potere civile: ancora tra il XV e XVI secolo nei pressi della piazza, ormai inglobata nella città, fu edificato il Palazzo del Capitano. Di una fase bizantina dell’abitato di Barletta parla con certezza A. Brusa, Barletta, in A.Brusa-R.Licinio-F.Porsia, Itinerario normanno in Terra di Bari, Bari 1985, p. 195.
[5]
Sulla antica e costante frequentazione della zona est del territorio urbano di Barletta, ossia della zona più alta e prospiciente il porto, vedi: Ambrosi, Considerazioni sulla città cit., pp. 83-104. Sulla formazione del tessuto urbano: C. A. M. Laganara Fabiano, La formazione del nucleo barlettani nella compagine territoriale, in D.Capacchione-M.F.Fortunato-C.A.M.Laganara Fabiano, Due centri un territorio, Cassano 1979, pp. 25-40.
[6]
Guillaume de Pouille. La geste de Robert Guiscard, in M.Mathieu, a cura di, Palermo 1961, p. 132, (d’ora in poi Guglielmo Apulo).
[7]
Chronica Vulturnense, Lib. II, ap. Muratori, RIS, tomo I, parte II, p. 231: <<Qui (normanni) omnia sibi diripientes castella ex villis aedificare caeperunt, quibus ex locorum vocabulis nomina indiderunt>>.
[8]
Loffredo, I, p. 131.
[9]
Loffredo, I, p. 159; Alessando Telesino, De rebus gestis Rogerii Siciliane Regis, in Del Re, Cronisti e scrittori sincroni napoletani, I: Dominazione normanna, Napoli 1845; II, Svevi, Napoli 1868, Lib. II, cap. XXXVIII: <<cum ergo Rex terras Gofridi Andrensis Comitis, atque prefati Alexandri quorum perjurorum passim occupasset. Videlicet Aquambellam, Coretum, Barulum, Minerbinum, Gruttulam ,aliasque nonnullas…>>. Nello stesso 1133 Ruggiero fece distruggere le mura di Bisceglie e le torri di Trani e Bari. Lo status demaniale di Barletta sarà sancito definitivamente nel 1190 da parte di re Tancredi: Loffredo, I, pp. 159-160; ivi, II, Documenti, doc. 13, pp. 289-291.
[10]
F.Ughelli, Italia Sacra, Venezia 1721, tomo VII. I barlettani avevano inutilmente resistito alle armi dell’imperatore affrontandolo in campo aperto; Loffredo, I, pp. 160-161 e nota 7.
[11]
Brusa, Barletta cit., pp. 191 e 202.
[12]
Loffredo, I, p. 160.
[13]
Brusa, Barletta cit., p. 202.
[14]
Romualdo Salernitano, Chronicon, in G. Del Re, Cronisti e scrittori cit., I, pp. 5-71.
[15]
Licinio, Castelli cit., p. 114; Loffredo, p. 174.
[16]
Grisotti, pp. 105-106.
[17]
Grisotti, p. 106. La costruzione di torrioni all’interno dei recinti castellari in posizione strategiche e presso l’ingresso è attestata in Italia proprio tra XII e XIII secolo: A.A. Settia, Proteggere e dominare. Fortificazioni e popolamento nell’Italia medievale, Roma 1999, p. 360.
[18]
Codice Diplomatico Barlettano, a cura di S. Santeramo vol. II, Acquapendente 1931, rist. anast. Fasano di P. 1988, (d’ora in poi CDBarl), doc. 1, p. 3. La lettera inviata da Velletri dal pontefice il 14 settembre 1202 afferma testualmente: <<…sed si remanseris castellum Baroli et Melfie et Rapolle recipias sed et cast[ellum] si fieri potest qua de Andrien detinet comitatu>>. N. Vendola, a cura di, Documenti tratti dai registri vaticani. Da Innocenzo III a Nicola IV, vol. I, Trani 1940, doc. n. 39, p. 38. riporta una versione leggermente diversa ma meno accurata là dove integra “cast” con “castra”
[19]
F. Porsia, Il periodo svevo, in Storia della Puglia, a cura di G. Musca, Bari 1987, pp. 259-260. Barletta, pur non appartenendo al Principato di Taranto si mise sotto la protezione di Gualtieri di Brenna, pretendente del Principato suddetto. Questi era appoggiato dal pontefice e contrastato dai reggitori del Regno, Guglielmo di Palearia in testa, tutori di Federico II. Nell’ottobre del 1202, Gualtieri era a Barletta con un piccolo esercito e il legato pontificio, Vescovo di Porto. Gli si fece incontro l’esercito del Palearia, molto più forte. I barlettani timorosi chiusero le porte alle spalle del conte e del Legato Pontificio, usciti per la battaglia. Ma questa volse in favore di Gualtieri di Brenna, in Loffredo, I, pp. 210-211; Vitae Pontif. Roman. Gesta Innocentii, in L.A. Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, III, Milano 1724 p. 493.
[20]
<<…ut omni occasione cessante, in Siciliam transire destinet […] ad custodiendum Terre in Abulia rimanere>>: Vendola, Documenti cit, doc. n. 39, p. 38, e CDBarl, II, doc. 1, p. 3.
[21]
Melfi è considerata da Leone Marsicano <<caput et ianua totius Apulie>>: Leone Marsicanus, Chronica monasterii Casinensis, II 66, p. 299.
[22]
Annalista Saxo, p. 65; H. Houben, Melfi e Venosa, in Mezzogiorno normanno-svevo. Monasteri e castelli, ebrei e musulmani, Napoli 1996, pp. 330-331.
[23]
Vitae Pontif. Roman. cit., in R.I.S., III, p. 498; il passo è riportato per intero da Loffredo, I, nota 4, p. 212: <<…constituens eos pariter Magistros et Justitiarios Apuliae et terrae Laboris; fecitque illi Castellum Baroli ad custodiam assignari, et reddi Montem pilosum, qui ad Comitatum Andriae pertinebat>>.
[24]
Vitae Pontif. Roman. cit., in R.I.S., III, p. 499; il passo è riportato per intero da Loffredo, I, p. 213 e in n. 5.
[25]
J.L.A. Huillard Breholles, Historia diplomatica Friderici Secundi, 6 voll., Paris 1851-1861 (d’ora in poi HB), V/1, Paris 1854, I/1, p. 104..
[26]
HB, I/2, p. 898; Riccardo di San Germano, Chronica priora, a c. di A. Gaudenti, Napoli 1888, p. 128: <<Imperator regni prelatis et magnatibus coram se apud Barolum congregatis, parato sibi tribunali sub divo propter gentis multitudinem que copiosam erat, proponi fecit et legi subscripta capitula in modum testamenti.>>; Loffredo, pp. 231-232 e nota 38.
[27]
Riccardo di San Germano, Chronica cit., pp. 128-129; HB, I/2, p. 898.
[28]
Licinio, Castelli cit., p. 139.
[29]
Idem, pp. 139-140. Sulla datazione del primo intervento svevo vedi P. Cafaro, L’architettura dei castelli federiciani in Puglia, in Atti delle prime Giornate federiciane (Oria, 13-14 giugno 1968), Manduria 1971, p. 165.
[30]
P. F. Keher, Das Briefbuch des Thomas von Gaeta, Justitiars Friederichs II, “Quellen und Forschungen”, 8 (1905), pp. 53-56; sugli alti costi anche dei primi interventi restaurativi e costruttivi di Federico II: C.D. Fonseca, “Castra ipsa possunt et debent reparari”: attività normativa e prassi politica di Federico, in “Castra ipsa possunt et debent reparari”. Indagini conoscitive e metodologie di restauro delle strutture castellane normanno-sveve (Atti del Convegno Internazionale di Studio promosso dall’Istituto internazionale di Studi federiciani, CNR, Castello di Lagopesole, 16-19 ottobre 1997), a c. di C.D. Fonseca, Tomo I, Roma 1998, p. 21.
[31]
HB, I/2, p. 902; idem, III, p. 156; Loffredo, p. 233 e nota 39.
[32]
HB, III, pp. 152 e 154-156, documenti emanati da Barletta.
[33]
HB, III, p. 152 e n. 3, in tale elenco del 1229, erano inserite anche Trani, Bari, Ruvo, per soffermarsi su quelle più vicine.
[34]
HB, IV/1, pp. 519-520; idem, IV/2, p. 944.
[35]
HB, V/1, pp. 390 e 392.
[36]
HB, V/1, pp. 412-413.
[37]
E. Sthamer, L’amministrazione dei castelli nel regno di Sicilia sotto Federico II e Carlo I d’Angiò, a cura di H. Houben, Bari 1995, pp. , traduzione dell’originale E. Sthamer, Die Verwaltung der Kastelle im Konigreich Sizilien unter Kaiser Friedrich II. Und Karl I, von Anjou (Erganzungs-band I di Die Bauten der Hohenstaufen in Unteritalien), Leipzig 1914, Anhang I, p. 58.
[38]
Proprio nel 1239, secondo Riccardo di San Germano, erano stati sostituiti tutti i castellani del Regno, Chronica, p. 188 (e nota 4), in R. Licinio, Castelli medievali. Puglia e Basilicata: dai normanni a Federico II e Carlo d’Angiò, Bari 1994, p. 125.
[39]
L’istituzione ufficiale dei provisores castrorum è attribuita da Riccardo di San Germano all’ottobre del 1239. Egli afferma inoltre che nel settembre-ottobre dello stesso anno si era provveduto alla sostituzione di tutti i castellani e dei giustizieri del Regno: Riccardo di San Germano, Chronica cit., p. 203. in realtà già dal 1231 sono nominati negli atti imperiali alcuni provveditori per alcuni Giustizierati: E. Winkelmann, Acta Imperii inedita specula XIII. Urkunden und Briefe zur geschichte des Kaiserreichs ubd des Konigreichs Sicilien in den Jahren 1198 bis 1273, I, Innsbruck 1880; II, Innsbruck 1885, vol. II, n. 764, p. 606. Un elenco dei provveditori si trova in: HB, V/1, pp. 411-414. Una sintesi dei compiti dei provisores castrorum in età sveva in A. Susca, I “provisores castrorum” e la gestione dei castelli, in a c. di R. Licinio, Castelli, foreste, masserie. Potere centrale e funzionare periferici nella Puglia del secolo XIII, Bari 1991, pp. 14-16.
[40]
Bocchi, L’autonomia cit., pp. 92-93.
[41]
Sthamer, L’amministrazione cit., pp. 94-127; su Barletta: Idem, p. 104.
[42]
G. Fasoli, Città e ceti urbani nell’età dei due Guglielmi, in Potere, società e popolo nell’età dei due Guglielmi (Atti delle quarte giornate normanno-sveve, Bari, 8-10 ottobre 1979), Bari 1981, p. 155; Idem, Castelli e strade nel “Regnum siciliane”. L’itinerario di Federico II, in Federico II e l’arte del Duecento in Italia (Atti della terza Settimana di studi di Storia dell’Arte medievale), Galatina 1980, vol. I, pp. 27-52.
[43]
Fasoli, Castelli e strade cit., pp. 36-42.
[44]
HB, V/1, pp. 619-620: altri prigionieri furono assegnati a Trani e in altre città pugliesi.
[45]
HB, V/2, pp. 927-928.
[46]
HB, V/2, pp. 933-934.
[47]
Loffredo, p. 244, nota 51.
[48]
A. Diviccaro, Donne e matrimonio in un lignaggio di lunga durata. I della Marra di Barletta, Barletta 1998, pp. 6-11.
[49]
Matteo Spinelli da Giovinazzo, Diurnali, in Del Re, Cronisti cit., II, p. 633.
[50]
Spinelli, Diurnali cit., p. 634.
[51]
HB, VI/1, pp. 67-68.
[52]
HB, VI/1, pp. 420-422; HB, VI/1, p. 462.
[53]
Licinio, Castelli cit., pp. 180-181.
[54]
Nicolò de Jamsilla, De rebus gestis Frederici secundi imperatoris ejusque filiorum Conradi et Manfredi Apuliae et Siciliane regum, in Del Re, Cronisti cit., II, p. 112 ; Loffredo, p. 249.
[55]
Nicolò de Jamsilla, De rebus cit., pp. 113-114.
[56]
Loffredo, pp. 251-252.
[57]
Nicolò de Jamsilla, De rebus cit., p. 155 ; Loffredo, p. 255.
[58]
Nicolò de Jamsilla, De rebus cit., pp. 188 e 190 ; Spinelli, Diurnali cit., p. 637; Loffredo, pp. 256-259.
[59]
Spinelli, Diurnali cit., pp. 638-641.
[60]
Sthamer, Dokumente cit., n. 648, p. 39.
[61]
Licinio, Castelli cit., p. 239, e nota 74 a p. 240
[62]
Sthamer, Dokumente cit., n. 655.
[63]
RA, XIV, p.165, n. 201.
[64]
Grisotti, pp. 129-130. L’autore, sulla base delle analisi tecniche e stratigrafiche, li attribuisce con sicurezza al periodo svevo, anche se evidenziando la presenza di diverse stratificazioni ritiene gli ambienti frutto di successivi interventi nel corso di tutto il XIII secolo, comprendendovi anche un probabile intervento angioino.
[65]
Sthamer, Dokumente cit., n.656, pp. 41-42.
[66]
RA, XIV, pp. 223-224, n. 371; Sthamer, Dokumente cit., n. 577, p. 12, (Castrum Bari).
[67]
Sthamer, Dokumente cit., n. 712, p. 56.
[68]
Grisotti, pp. 15-40.
[69]
Grisotti, p. 147.
[70]
Sthamer, Dokumente cit., n. 656, p. 41.
[71]
Grisotti, pp. 141-142.
[72]
Sthamer, Dokumente cit., n. 683, p. 46.
[73]
F. Maurici, Federico II e la Sicilia. I castelli dell’imperatore, Catania 1997, pp. 223-251.
[74]
Maurici, Federico II e la Sicilia cit., pp. 237-238; ricostruzioni: Ivi, figg. 22 e 23, p. 242.
[75]
Sthamer, Dokumente cit., nn. 648-654, pp. 39-41.
[76]
Sthamer, Dokumente cit., n. 655, p. 41.
[77]
Sthamer, Dokumente cit., n. 656, p. 41; si passa al termine taluto nel documento n. 671, p. 44. La distanza del muro dal castello è di circa 6,33 m. e la loro altezza varia da un minimo di 12,66 m. ad un massimo di ben 21,36 m.: Grisotti, p. 23.
[78]
Per costruire la torre suddetta, infatti, si procede alla redazione di un progetto lungo, specifico ed elaborato, inoltre i lavori impegneranno il cantiere dall’agosto del 1278 all’aprile del 1280, in Sthamer, Dokumente cit., n. 701, p. 52.
[79]
<<… elevacionis turris ipsius castri exhistentis ex parte portus>>: Sthamer, Dokumente cit., n. 704, p. 53; tale torre appare chiaramente citata nel documento Idem, n. 700, p. 51.
[80]
Sthamer, Dokumente cit., n. 700, p. 51.
[81]
I particolari tecnici e le suddette conclusioni in: Grisotti, pp. 119-130.
[82]
Per la chiarezza con cui è messo in luce l’antico reticolo urbano e la posizione dell’isolato “Palazzo Ducale-Cattedrale” vedi: R. De Vita, Castelli, Torri e opere fortificate in Puglia, Bari 1974, fig. 359, p. 317.
[83]
Carta dei Castelli torri ed opere fortificate di Puglia, a cura di R. De Vita, M. L. Troccoli, C. Bucci, R. Mola, in Architettura sveva dell’Italia meridionale. Repertorio dei castelli federiciani, a cura di A. Bruschi e G. Miarelli Mariani, (Prato, maggio-settembre 1975), Firenze 1975.