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I castelli di Barletta e Trani, pur nelle numerose differenze evidenziate (data di fondazione, attuale stato di conservazione delle parti sveve) in età federiciana assolsero in realtà ad un compito strategico molto simile: difesa e controllo del centro urbano, difesa e controllo costiero, luoghi di residenza imperiale e regia, sedi di rappresentanza del potere e di cerimonie ufficiali di grande importanza. Furono, però, soprattutto due dei principali anelli della catena di difesa e controllo della costa adriatica che da nord a sud si stendeva almeno fino al castello Brindisi e i due nodi terminali o iniziali, a seconda del punto di vista, di quella rete di castelli, città murate, domus e torri che dalla costa a sud dell’Ofanto si stendeva fino alle Murge interne, alla valle del Basento e alle falde del Vulture, passando per l’edificio castellare più celebre fatto costruire dall’Imperatore svevo: il “maniero” di Castel del Monte.
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Le linee tracciabili tra un castello e l’altro non vanno lette come delle “catene” con preferenziale direzione nord-sud, ma come delle “reti” che non hanno una direzione preferenziale e privilegiata ma si stendono da sud a nord, da est a ovest ma anche seguendo direzioni e percorsi non definibili aprioristicamente
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ma modellati sul territorio, sui rilievi, sui corsi d’acqua, sulle diverse tipologie di costa, sull’esistenza o meno di centri abitati, porti, strade o sentieri.
Non è qui necessario ribadire l’importanza strategica della difesa della costa pugliese, ritenuta la naturale porta dell’Occidente rivolta ad Oriente, sia in senso economico-culturale che in senso aggressivo o difensivo, e di tale ruolo delle maritime civitates di Terra di Bari erano già consapevoli bizantini e normanni,
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così come è stata messa sufficientemente in rilievo l’importanza del sistema castellare per il controllo dei principali assi viari.
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La funzionalità di tale sistema, presupponeva, come sarà apparso chiaro, l’efficienza del castelli di Andria e Corato per il collegamento verso Castel del Monte; l’efficienza del castello di Canne
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per il collegamento tra Barletta e Canosa e per il controllo dell’Ofanto e dei suoi ponti; l’efficienza dei castelli di Bisceglie e Ruvo
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per il completamento del sistema verso sud e la sua congiunzione con il nodo strategico di Bari e del suo entroterra.
Tale sistema di difesa e controllo del territorio a maglie strettissime, molto probabilmente, come detto, era completato da torri di guardia e di collegamento visivo lungo la costa e nell’interno. La documentazione federiciana non ne parla esplicitamente, proprio per la sua tendenza a tenere separati i settori, gli aspetti diversi dell’amministrazione del Regno, per cui nello Statutum dedicato ai castelli, nulla si dice delle torri, ma possiamo affermare con certezza che un sistema di torri costiere esisteva già in età federiciana se non addirittura in età normanna.
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Nel 1269, a soli tre anni dalla conquista del regno, Carlo I ordina di munire con sentinelle, riparare e fortificare le torri di tutto il Regno per la difesa contro i pirati e i nemici,
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dando per esistente e consolidato tale sistema di torri, non avendo certamente avuto il tempo di realizzarlo: tutto ciò ci induce a pensare che esso fosse già esistente e operante in età sveva.
Il funzionamento del sistema era basato sulla efficacia della comunicazione tra i diversi nodi del presidio e quindi sulla comunicazione visiva diretta e indiretta
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; sull’uso di un capillare sistema di strade; sul sistema dei fuochi e dei fumi attivo nella piena età angioina
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, sull’uso costante di uomini addetti alla osservazione di particolari punti individuati all’orizzonte, come i prospectores al servizio di Manfredi, che utilizzavano il sistema delle bandiere per segnalare fino a Lucera i movimenti degli eserciti accampati a Troia e Foggia
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A questo sistema di comunicazione visiva basato sugli edifici direttamente controllati dall’imperatore e dai suoi successori bisognerà aggiungere, a mio modesto parere, l’ausilio dato dagli svettanti campanili della cattedrali di Barletta, Trani e della stessa Andria, realizzati proprio negli anni della costruzione dei suddetti castelli tra XII e XIII secolo e così si spiegherebbe anche lo stretto collegamento fisico e visivo tra castelli e cattedrali, appunto, non potendosi ritenere sempre valida la tesi di una contrapposizione tra edifici imperial-regi e chiese, che andrebbe di volta in volta dimostrata, o addirittura una scelta dei siti basata su motivazioni scenografiche, come ad esempio è stato ancora di recente affermato per il caso di Trani.
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A questo proposito risulta illuminante la notizia che, nel 1515 una deliberazione del Consiglio dell’Università di Barletta stabilisce che “sul campanile di S. Maria di Barletta si metta un guardiano di notte e giorno per avvisare nel caso arrivassero attraverso il mare fuste dei Turchi”.
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A proposito dei collegamenti visivi e del ruolo strategico della visibilità degli edifici castellari anche a scopo intimidatorio e per segnare il territorio è necessario ricordare quel che afferma Lo compasso de navigare, collocabile con certezza tra il 1240 e il 1256, per quanto riguarda proprio Castel del Monte visto dalla costa del nord-barese: si vede <<una montagna longa enfra terra et alta, e la dicta montagna se clama lo Monte de Sancta Maria, et à en quello monte uno castello>>.
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Il presidio della collina di Santa Maria de Monte, quindi, permise di esaltare a dismisura la funzione dei due castelli costieri che risultarono non più tagliati fuori dalle aree interne del Regno. Esso presidiava, infatti, i percorsi che staccandosi dalla via Appia antica e dalla via Traiana giungevano proprio a Barletta e a Trani
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innestandosi sulla sempre più importante litoranea adriatica che scendendo da Siponto di innestava a Bari sulla Traiana.
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Per comunicare, poi, era sufficiente anche una veloce galoppata tra un castello e l’altro e percorsi adatti ad un solo veloce destriero certo non mancavano. Le distanze, inoltre, sono veramente minime: in linea d’aria la distanza tra Barletta e Andria è di 10 Km c.ca, praticamente identica a quella che intercorre tra Barletta e Trani e tra quest’ultima e Andria. Tra Andria e Castel del Monte, la distanza è di 18 Km c.ca, per cui trovandosi Andria perfettamente sulla direttrice tra il Monte di S. Maria e Barletta, la distanza complessiva è di 28 Km c.ca, la stessa della distanza fra Trani e il castello murgiano.
Con la costruzione di Castel del Monte Federico II mostrò di non ritenere sufficiente il ruolo passivo dell’esistente castello di Barletta né del costruendo castello di Trani. La contemporaneità della edificazione dell’edificio tranese e di Castel del Monte chiarisce lo strettissimo nesso che lega Trani a Castel del Monte e, di conseguenza, questi due ultimi edifici a Barletta, e rende questi edifici elementi fondamentali di un disegno complessivo.
Federico II non fondò città nel nord della Terra di Bari, trovò sul terreno delle importanti città, ricche di popoli, di commerci, con un ruolo strategico già individuato da longobardi, bizantini e soprattutto normanni
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: Barletta, Trani, Bisceglie e le altre città costiere fino a Bari; Canosa, Canne, Andria, Corato e le altre città della immediata fascia interna, costituivano di per sé un sistema efficace di secolare controllo e gestione del territorio, abilmente sfruttato da bizantini e normanni. Ciò che Federico II e i suoi strateghi individuarono era l’esistenza, però, di un elemento di debolezza del sistema basato solo sulle città e i castelli esistenti.
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Troppo vasta era l’area murgiana priva di presidi e controllo. La costa e il suo immediato entroterra divenivano una difesa troppo leggera e penetrabile dalla costa poiché alle loro spalle si stendeva una immensa area senza città e fortezze. In particolare risultava debole il sistema a nord di Bari, stretto tra il mare e le aree collinari murgiane così economicamente preziose ma deserte. Ancora oggi basterà aprire una cartina della Puglia per osservare come a sud di Castel del Monte e fino a Gravina ed Altamura, non esistano paesi e città. Se pensiamo che prima degli anni ’30 del XIII secolo non esistevano Castel del Monte, il Garagnone, il castello di Gravina e la città di Altamura, e più in là mancava un presidio valido per la valle del fiume Basento, risulta chiaro come la fortificazione della fascia costiera non potesse essere ritenuta sufficiente per difendere il Regno da attacchi provenienti dal mare adriatico.
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A questo punto della trattazione è necessario parlare dei castelli di Barletta, Trani e Castel del Monte, in rapporto tra loro e con i castelli di Andria, Corato, Canosa, Canne, Garagnone e Gravina, in funzione di controllo sulle masserie regie, sui prodotti in partenza da esse e in viaggio verso i porti di Barletta e Trani, ed infine sulla esportazione di prodotti agricoli che avveniva proprio, di preferenza, da questi due porti adriatici.
Per l’età sveva ed angioina, infatti, nella zona murgiana di Terra di Bari, sono attestate masserie regie nei territori di Altamura, Canosa, Gravina, Lagopesole, Lavello, Minervino, Monteserico, San Gervasio, Melfi, Spinazzola, inserite in un sistema che comprendeva le numerosissime masserie di Capitanata e quelle di Terra d’Otranto. All’interno di questo capillare sistema massariale che prende forma proprio in età federiciana, il castello regio rappresenta “la più vicina garanzia, o l’unica occasione, di difesa e sicurezza”, così come è stretto il legame tra masserie e castelli per quanto riguarda il rifornimento di questi ultimi.
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Inoltre la gestione delle masserie regie non era priva di problemi se, come è testimoniato per l’età angioina, non mancano fughe di contadini, malversazioni di massari, scontri tra massari e castellani, abusi e conflitti tra allevatori e contadini
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Quello di Federico II e del suo apparato burocratico fu uno sforzo titanico per la gestione di un numero enorme di beni, città demaniali, castelli, foreste e, appunto, masserie la cui importanza stava nel loro compito “di aziende immediatamente produttive” nel cui sistema non era tollerabile alcuna smagliatura.
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E la Puglia era perfettamente conosciuta nella sua articolazione e potenzialità agricola ed era considerata come la perla del sistema massariale e produttivo per tutto il periodo federiciano.
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In tali aziende agricole prevaleva la produzione di cereali, prodotto fondamentale per l’alimentazione medievale, che per l’Alta Murgia aveva come sbocco naturale per l’invio nei mercati centro settentrionali e in altre aree del regno, i porti di Barletta e Trani e più a sud Bari e Brindisi. A questi, solo nella seconda metà del XIII secolo si aggiungerà Manfredonia: in età sveva Barletta e Trani ancora prevalgono nettamente.
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Qui si aprivano numerosissime fosse granarie
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alcune addirittura nello stesso castello di Trani.
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L’esportazione di cereali attraverso questi porti era uno dei cardini della politica economica sia di Federico II che dei suoi immediati successori angioini, fino a condurre alla carestie i territori stessi di produzione cerealicola.
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I proventi di questo commercio erano ritenuti fondamentali dalla monarchia sveva al punto di attuare forme estreme di concorrenza sleale nei confronti dei produttori privati, religiosi e feudali, come il blocco delle esportazioni prima che fossero partite le sue navi, nel 1224, per spuntare i prezzi migliori durante una crisi di sovrapproduzione
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, o l’uso di grandi flotte per drenare a proprio favore le risorse cerealicole della Puglia.
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Da quanto risulta, quindi, da un confronto tra produzione, esportazioni, situazione economica e sociale e carestie, la Puglia e il regno si trovarono a vivere in una condizione di economia “dominata”,
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e probabilmente i castelli furono uno strumento di questo dominio.
Non bisogna dimenticare lo “jus exiture” imposto sulle derrate in uscita dal regno e il controllo sulle quote esportabili stabilite da Federico II e da Carlo I.
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Per concludere, quindi, dobbiamo valutare quel sistema castellare costituito dai castelli di Barletta, Trani, Castel del Monte e da quelli che fanno loro corona, come un sistema di controllo e gestione anche degli interessi strettamente economici dei sovrani svevi ed angioini.
Infine è necessario non dimenticare che un tale sforzo costruttivo per rendere capillare la presenza castellare aveva come scopo non secondario quello di significare che “l’imperatore è in ogni luogo, in ognuna delle opere da lui promosse”.
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Ad una lettura superficiale potrebbe apparire che ogni intervento federiciano abbia favorito solo i suoi interessi militari, politici ed economici, bloccando in parte lo sviluppo urbano ed imponendo delle scelte urbanistiche obbligate, in realtà è necessario ricordare come la presenza di una potente fortezza posta anche a guardia e difesa della città e del porto abbia certamente avuto delle conseguenze positive: tra tutte spiccano la sicurezza garantita ai traffici portuali e stradali, e la garanzia di una difesa efficace da attacchi esterni cui le città costiere erano facilmente soggette
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Per tutti i motivi suddetti Federico II e i sovrani che gli succedettero ritennero tale sistema castellare valido e il rafforzamento angioino è segno proprio della sua validità. Furono le armi da fuoco e il cambiamento delle tecniche e strategie belliche in età moderna e poi nei secoli successivi a far divenire questo sistema di difesa e controllo del territorio da un lato insufficiente, dall’altro inutilmente costoso e ingombrante.
[1]
Della scansione delle “linee” di fortificazione e presidio castellare, secondo linee grosso modo parallele che partono da quella della costa adriatica per risalire i “gradoni” murgiani e raggiungere il Vulture e la Valle del Basento, parla R. Iorio, Federico II costruttore di castelli, La Puglia tra Medioevo cit., pp. 193-194.
[2]
Della stessa opinione è L. Santoro, Castelli angioini e aragonesi, Milano 1982, p. 14.
[3]
Brusa-Licinio-Porsia, Itinerario normanno cit, pp. 15-17; Licinio, Introduzione, in Idem, Castelli, foreste cit., p. 5.
[4]
Fasoli, Castelli e strade cit., pp. 27-52. Tra gli ultimi P. Dalena, Il sistema viario peninsulare: questioni di metodo, in Castra ipsa cit., pp. 86-88; sul tema del rapporto castelli-strade, si è pronunciato recentemente Settia, invero ridimensionando alquanto il legame tradizionalmente ritenuto imprescindibile tra rete viaria e castelli: Settia, Proteggere e dominare cit., pp. 29-30 e 85-86.
[5]
Sthamer, L’amministrazione cit., p. 104, in cura agli uomini di Canne e Bisceglie.
[6]
Il castello di Ruvo è inserito nello Statutum: Sthamer, L’amministrazione cit., p. 105, riparato a cura degli uomini di Ruvo, Bitritto, Binetto, Sannicandro, Montone, Magliano (Capurso), e altri casali del barese.
[7]
Ne sono ricordate diverse soprattutto per la Terra d’Otranto: Licinio, Castelli cit., pp. 134-136, nota 37.
[8]
RA, III, p. 61.
[9]
Iorio, Federico II cit., p. 193.
[10]
Licinio, Castelli cit., p. 270; RA, X, nn. 88 e 89, pp. 232-233; RA, XI, n. 13, p. 5; RA, XXVII, I, n. 561, pp. 86-87.
[11]
Nicolò Jamsilla, De rebus cit.p. 150.
[12]
Pasquale, p. 36; dall’alto del campanile di Trani risulta ancora perfettamente visibile la città di Andria; a Barletta il campanile della cattedrale è perfettamente in asse con la strada che reca a Canosa, si controlla la direttrice adriatica e la stessa Andria è perfettamente visibile.
[13]
CDBarl, IV, p. 256.
[14]
O. Baldacci, Lo compasso de navigare e la Puglia, in “Annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Bari”, II (1961), p. 204; Licinio, Castelli cit., p. 136.
[15]
Licinio, Castelli cit., p. 156.
[16]
Buone e chiare mappe della principale viabilità romana e medievale in: P. Dalena, Ambiti territoriali, sistemi viari e strutture del potere nel Mezzogiorno medievale, Bari 2000, tavv. III, IV, pp. 24 e 27.
[17]
Licinio, Castelli cit., p. 183 e n. 112; tutta la storiografia, pur con accentuazioni e sfumature diverse, concorda su tale assunto sin dall’opera di Haseloff, Architettura sveva cit., Sthamer, Fasoli, Bocchi, Iorio, Willemsen, Componenti della cultura federiciana nella genesi dei castelli svevi, in Castelli, tori e opere fortificate cit., pp. 393-422; M. Cordaro, Il problema delle origini dell’architettura federiciana. Studio bibliografico, in Federico II e l’arte cit., I, pp. 121-138.
[18]
Santoro, Castelli angioini cit., p. 14: secondo il quale Federico II ritenne “necessaria la disponibilità di una fitta rete di castelli così che non essendo sufficiente il numero di quelli di cui già disponeva, ne furono costruiti altri”.
[19]
Sulla leggibilità e chiarezza delle scelte strategiche dell’imperatore svevo in Puglia attraverso la lettura della rete castellare e delle varie fasi della sua realizzazione Licinio, Introduzione, in Castelli, foreste cit., p. 5. L’importanza fondamentale dei castelli nella strategia bellica del basso medioevo, riducibile ad una serie di assedi, è stata messa recentemente in rilievo: Settia, Proteggere e dominare cit., pp. 361-368.
[20]
R. Licinio, Masserie medievali. Masserie, massari e carestie da Federico II alla Dogana delle pecore, presentazione di C.D. Fonseca, Bari 1998, pp. 58-59, 72-73.
[21]
Licinio, Masserie medievali cit., pp. 73-79. Episodi relativi alla prima età angioina nella zona di Minervino e Canosa in cui i contadini si ribellano attaccando addirittura la guarnigione del castello di Canosa: Ivi, pp. 95-96.
[22]
Licinio, Masserie medievali cit., pp. 84-85.
[23]
F. Sinatti D’Amico, Territorio, città e campagna in epoca federiciana, in Atti delle seste giornate federiciane (Oria, 22-23 ottobre 1983), Bari 1986, pp. 80, 94-99.
[24]
Licinio, Masserie medievali cit., p. 237; G. Cassandro, I porti pugliesi nel Medioevo, in “Nuova Antologia”, CIV (settembre 1969), p. 19; G. De Gennaro, Commercio e navigazione nella Puglia medievale, in Saggi di storia economica (sec. X-XVII), Bari 1972, pp. 131-140; F. Porsia, Terra di Bari: 1200-1400, in “Storia del Mezzogiorno”, diretta da G. Galasso e R. Romeo, vol. VIII, Le province, Roma 1986, p. 505; N. Nicolini, Sul traffico navale barlettani dal marzo 1303 all’aprile 1304, in Studi di storia pugliese in onore di G. Chiarelli, a c. di M. Paone, Galatina 1979, pp. 607-632; Barletta è <<quella terra in Puglia ove stanno i risiedenti mercatanti a fare il traffico delle mercantie e cambio>>: F. Balducci Pargoletti, La pratica della mercatura, a c. di R. Evans, Cambridge 1936, p. 161.
[25]
RA, VI, n. 1880, p. 343.
[26]
RA, IV, n. 1143; Ivi, XVIII, n. 407, p. 189.
[27]
Licinio, Masserie medievali cit., pp. 240-41;
[28]
W. Cohn, L’età degli Hohenstaufen in Sicilia, Catania 1932 (Breslavia 1925), p. 170.
[29]
Matteo Spinelli, Diurnali cit., p. 633: l’episodio sarebbe avvenuto nel 1249.
[30]
Licinio, Masserie medievali cit., pp. 248-249
[31]
Licinio, Masserie medievali cit., p. 245.
[32]
A. Marino Guidoni, Architettura, paesaggio e territorio dell’Italia meridionale nella cultura federiciana, in Federico II e l’arte cit., I, p. 78; si tratta di una immagine espressa anche da R. Elze, La simbologia del potere nell’età di Federico II, a c. di S. Genuini, Pisa 1986, pp. 203-212.
[33]
Licinio, Castelli cit., p. 183; Bocchi, L’autonomia cit., p. 76; idem, Castelli urbani e città nel regno di Sicilia all’epoca di Federico II, in Federico II e l’arte cit., pp. 53-98.