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L'ADORAZIONE DEI PASTORI
Olio su Tela.
m. 3,05 x 2
Chiesa di S. Bernardino (Molfetta)
Firmata e datata 1596
Restauro Amodio 1958
Questo dipinto fu realizzato dall'Hovic al ritorno da Audenarde nel 1596.
Lo schema compositivo è equilibrato: la scena si divide orizzontalmente in tre settori: un coro angelico nella parte superiore, la scena della Natività al centro dove il Bambino è il fulcro che determina la posizione degli altri personaggi, e in fine, in basso, un personaggio di spalle che osserva l'evento e i due committenti in scala più ridotta.
Sono evidenti i tratti dello stile manierista: il paesaggio con citazioni di architettura classicheggiante; gli angeli che svolazzano con movimenti capricciosi; la presenza di personaggi comuni che adorano il Bambino; la figura femminile che ci volge le spalle e osserva, quasi dall'esterno del dipinto, come se si trattasse di una rappresentazione teatrale da ammirare (a dimostrazione dell'artificiosità manierista). E infine, i due committenti (Gaspar Francesco Antonio Gadaletta e Ursina de Mele) che come da tradizione, sono raffigurati in maniera più ridotta.
La peculiarità di questo dipinto è il suo carattere marcatamente veneziano, per la prima volta presente nell'arte dell'Hovic.
I quadri conservati nella Chiesa di Molfetta appaiono, già al primo sguardo, molto diversi da quelli che lo stesso pittore ha realizzato in patria: egli, infatti, nei dipinti molfettesi da molto rilievo al colore e alla luce ispirandosi, quasi omaggiando la pittura veneta così in voga in quel periodo. Del resto, abbiamo più volte sottolineato la poliedricità di Hovic e la sua spiccata propensione ad imitare, fino a fargli propri, i più svariati stili dell'epoca piuttosto che a crearsene uno che lo contraddistinguesse dagli altri. Questa persistente influenza veneziana ha portato i due studiosi (M. D'Elia e M.S. Calò) ad ipotizzare un lungo soggiorno del pittore a Venezia, magari durante il viaggio di ritorno a Bari, o quanto meno in una città del nord d'Italia molto vicina al manierismo veneto.
Quali sono i tratti veneti in quest'opera?
I toni rossastri del notturno che colorano l'intera atmosfera sono chiaramente ispirati al Bassano, che con la sua Adorazione dei Magi (1560) chiude il ciclo storico del Rinascimento dando allo spazio un'esperienza concreta del reale.
Le rotondità delle figure femminili, l'incarnato roseo dei visi e la modestia delle vesti ci riportano all 'Ultima Cena (1594) del Tintoretto; i putti della parte superiore del dipinto, con le loro facciette simpatiche e biricchine richiamano quelli corregeschi dell"Adorazione dei Pastori"(1530).
La particolare attenzione nell'esaltare piccoli dettagli e la cura nel dipingere oggetti quotidiani e vesti popolane ci riportano oltre che al Bassano alla cultura pittorica fiamminga.
La chiarezza compositiva presente in questo dipinto è da attribuire sicuramente allo studio di stampe del manierismo europeo, stampe che in quel periodo dovevano circolare nelle botteghe dei vari artisti. Sono proprio queste, infatti, a formare la base del linguaggio del manierismo internazionale e a favorire la diffusione capillare delle forme dell'arte del '500 in tutta Europa. E grazie alle stampe si elabora "lo stile dello stile" che uniforma lo spirito stesso del Manierismo Internazionale.
Gaspar Hovic non si sottrae a questa moda, anzi, usa continuamente le stampe come modelli per i suoi dipinti
Stella Calò Mariani come prova della adesione ad un modello preciso di quest'opera collega il dipinto con un piccolo dipinto su rame presente nella Galleria Sabauda di Torino. Quest'opera, che era stata in precedenza attribuita al Goltiuz e al Rottenhammer è la copia quasi identica del dipinto molfettese.
"Uguali sono gli elementi architettonici che fanno da sfondo alla scena; identici il gruppo centrale che si dispone attorno alla greppia, e i personaggi che si raccolgono a destra e a sinistra; ripetuta alla lettera la figura femminile che si affaccia in basso con il bimbo in collo; senza variazioni i tre putti che coronano la scena di Torino. Persino le proporzioni del varco che s'apre sul fondo sono identiche. Immutati del tutto restano i gesti e gli atteggiamenti di ogni figura, e se qualche variazione è introdotta, è sempre accessoria ed estrinseca..."18
Le differenze consistono in un arricchimento dei personaggi celesti, ed il raggio che a Torino cade al di là della capanna, a Molfetta è diventato un paesaggio di maniera. Altre differenze simili a queste rendono più povera pittoricamente la pala di Molfetta rispetto al rame di Torino, come quando si ingrandisce fortemente un dipinto, le aggiunte non fanno altro che dimostrare l'impaccio della copia. Tanta è la fretta del pittore nel dipingere questo quadro che non si cura nemmeno di cancellare la linea che limita il pavimento sovvrapponendolo alla donna che troviamo di schiena in primo piano.
Le differenze formali tra il dipinto di Torino e quello di Molfetta consistono nel fatto che il primo dimostra una maggiore sensibilità per il colore, mentre il secondo, per il disegno. Le ragioni sono da ritrovare nell'ambiente in cui furono concepite, maggiore fedeltà al colore nell'ambiente veneto del dipinto di Torino, che si affievoliscono con il rientro in Puglia e la lontananza dalla fonte.
La Calò colloca l'opera di Torino tra gli anni '90 e '96 del 500, al ritorno del viaggio del pittore dalla sua città natale, quindi il dipinto in rame sarebbe precedente e una specie di bozzetto per l'opera di Molfetta.
Il dipinto Molfettese è stato restaurato nel 1958 da A. Amodio presso il Laboratorio di Restauro della Soprintendenza per i Beni A.A.A.S. di Bari, e attualmente si trova in buono stato di conservazione.
18 CALO, M.S. Precisazioni sui Caratteri Venetti...Op. Cit., pag. 7