Arte e comunicazione
Un problema piuttosto evidente nell’arte moderna è l’ambiguità della comunicazione. In merito alle grandi avanguardie come la Minimal Art o la Pop Art e tanti movimenti più o meno importanti che si sono avvicendati in questi anni in tutto il mondo, mi riservo una piccola domanda: quanto delle opere realizzate oggi raggiunge l’animo più profondo dell’osservatore? Mi permetto di dire con ragionevole certezza che l’arte, in generale, porta con se un linguaggio complesso che dice qualcosa al cuore dell’osservatore, anche se non tutti i movimenti artistici contemporanei auspicano a elaborare e fornire un qualsivoglia messaggio. Non necessariamente l’osservatore deve essere preparato o istruito. Se un opera d’arte “emette” una sensazione, già questo basta per definirla un’opera riuscita o gradevole anche all’occhio profano. Un oggetto d’arte autentico deve, a mio avviso, avvicinarsi quanto più è possibile al substrato dell’osservatore, non solo, ma si fa carico di una responsabilità, quella di mettere in moto un pensiero e mai di assopirlo.
È doveroso spiegare questo concetto. La percezione umana è una macchina meravigliosa, riesce in diverse misure a unire cultura, ricordi, esperienze, previsioni e azioni attraverso il semplice vedere. Gli altri sensi per ora non prendiamoli in considerazione. Questa elaborazione eccezionale che l’uomo fa ogni istante della sua vita è il frutto del suo nucleo più profondo, l’io. Allora se è vero che l’arte coinvolge questo “io” anche l’artista espone il suo “io”, se così non fosse ho seri dubbi sulla esistenza dell’arte.
Ebbene ora abbiamo difronte il coinvolgimento di due “io”. Questo è già abbastanza dinamico e carico di energia. Più che un incontro abbiamo uno scontro fra le parti. Uno scambio intellettuale dinamico, mai statico. Un pensiero ha bisogno di muoversi come fa il corpo, altrimenti muore. Il pensiero si ferma quando anche l’artista non pensa ciò che fa, o vuole di proposito non dare un’occasione all’osservatore di pensare. Questo è poco incline all’azione che l’arte si propone.
Per muovere il pensiero altrui lo si può fare, secondo me, solo se anche il proprio pensiero è in azione e, più è dinamico il pensiero dell’artisa, più dinamico sarà quello dell’osservatore. Ovviamente sarà la bravura dell’artista “allenatore” a far emergere il movimento dell’osservatore “atleta”.
Il vero artista dunque non propone mai cose serene, cose che tranquillizzano l’osservatore, che lo “rilassano”. L’arte autentica ha sempre qualcosa di inquietante, muove il pensiero , pone dei dubbi, sollecita la discussione, a volte è sgradita. Un’opera che “rilassa” non muove niente, non proprone emozioni forti, è una “messa in scena ipocrita” che offre all’osservatore solo uno scambio monetario con parole dolci.
Se guardiamo anche le opere più “serene” dei grandi maestri, basti pensare alla “Sacra famiglia” di Michelangelo o alla “Venere” di Botticelli, a primo acchito c’è un infusione dolce nell’anima, ma a ben osservare non è proprio così. Il movimento dei corpi, le vesti mosse da un probabile vento, i colori forti, la composizione che segue un percorso o una forma geometrica, tutto sembrano fuorchè tranquilli. L’artista di ogni epoca è sempre in agitazione e, per sua natura, deve manifestare questo mare agitato anche se sta dipingendo “Gesù bambino”.