Arte e scienza
Ecco due mondi apparentemente distanti che, invece, sono più vicini di quanto possiamo immaginare.
Certo quando pensiamo alla scienza e all’arte gran parte di noi pensa immediatamente a Leonardo da Vinci, un autore fortemente vicino alle scienze come alla medicina, alla fisica come all’architettura e via dicendo. Tuttavia non tutti riflettono sul legame profondamente psicologico che esiste fra l’opera d’arte e la scienza, sul lungo cammino che si crea nella nostra mente prima, durante e dopo l’osservazione di un’opera d’arte.
La nostra percezione è continuamente sollecitata dal nostro continuo “vedere”. Con gli occhi facciamo un lavoro costante di elaborazione delle immagini, con la mente un lavoro costante di interpretazione, ma cosa avviene di preciso? Cosa centra tutto ciò con l’arte?
Il principio fisico sul quale è basato il funzionamento dell’occhio è noto a tutti, ma la naturale ricezione delle diverse frequenze della luce ha implicazioni molto più vaste del semplice interpretare ciò che vediamo. L’uomo fa molto di più.
Noi, esseri considerati “pensanti”, possiamo metaforicamente assomigliare ad una vasca di decantazione in cui è presente un passaggio di acqua continuo. Questo flusso può essere valorizzato o lasciato andare via senza filtri. Come una pianta prende ciò che di buono c’è nell’acqua lasciando il resto nel terreno, così anche noi possiamo, se vogliamo, “interpretare” la realtà, trattenere il buono e lasciare il cattivo.
Ho immaginato un piccolo viaggio:
“Scegliamo una mostra di artisti che ci piacciono e girovaghiamo negli spazi espositivi. All’improvviso un’opera ci colpisce, ci attrae particolarmente, ci meraviglia. Decidiamo di fermarci ad ammirarla.
Ora siamo in piedi e la nostra pupilla è puntata sull’opera d’arte. Uno sciame di frequenze e fotoni si muovono con le regole della fisica e dell’intero universo raggiungendo la retina.
Siamo pervasi da miliardi di informazioni, la mente elabora gli impulsi semplici, poi quelli complessi e infine quelli interpretativi. Gli impulsi semplici sono quelli di conversione del segnale luminoso in segnale “elettrico”, gli impulsi complessi sono quelli di interpretazione del segnale, di conversione delle informazioni e di comprensione di ciò che vediamo. Gli impulsi interpretativi sono multifattoriali: il valore empatico, una traduzione letteraria dell’opera, una lettura semiotica del linguaggio, un’attribuzione qualitativa, un riferimento ad altre discipline come la poesia o la storia e infine i sentimenti suscitati nell’io più profondo.
Prendiamo in considerazione quest’ultimo fattore: i sentimenti.
A seconda della nostra evoluzione interiore, maturata nel corso della nostra vita, possiamo entrare in misura diversa negli spazi dei sentimenti che un’opera d’arte potrebbe evocare.
Di fronte ai colori, alle forme e alle composizioni siamo agganciati nel mondo dell’artista. Il vero artista ci vuole dire qualcosa, non usa la parola, usa la silenziosa immagine. L’artista vero non vuole obbligarci a leggere il suo messaggio, anzi non vuole affatto esporre un messaggio facilmente leggibile. Più il messaggio è imperscrutabile e meglio è. Egli vuole far passare i sentimenti che il messaggio contiene, non la frase in formato immagine. Questo metodo fa scattare in noi qualcosa al livello profondo. Siamo esterrefatti perché qualcosa è arrivato al nostro midollo spinale senza passare dal cervello o da un ragionamento di tipo razionale. Questo qualcosa è inafferrabile, invisibile, impossibile da spiegare, difficile da definire o enunciare, ma ha raggiunto il nostro io ancestrale. Il coinvolgimento diventa totale quando un complesso insieme di sentimenti scatena persino i nostri ormoni, distribuendo nel corpo quello che lo spirito ha percepito e interpretato. Noi diciamo “quest’opera mi piace”, ma è una traduzione disperata in parole che cercano di definire qualcosa di indefinibile. Infatti, il più delle volte, noi stessi non siamo affatto soddisfatti del nostro commento. Ci sentiamo impotenti.
Talvolta interviene il critico d’arte che trasforma in parole più erudite, ma non meno disperate, l’evento fatto di sentimenti sollevati dall’opera d’arte.
Gli ormoni, il battito cardiaco, le energie che fluttuano e viaggiano secondo le regole dell’universo all’interno del nostro corpo, ora sono mutati dagli eventi scatenati dall’io profondo e dal cervello. La fonte spirituale genera gli eventi del corpo e non viceversa. Un fatto spirituale interessa i fenomeni scientifici.
Abbiamo osservato per quindici minuti un’opera d’arte che “ci piace”, ora la scienza può interpretare i nostri cambiamenti corporei, darne un valore psicologico e stilare infine una “diagnosi”.
Stiamo uscendo dagli spazi espositivi. Abbiamo ancora negli occhi le immagini che ci hanno “mutato”, ci portiamo dietro una nuova idea del vedere e, forse, anche una nuova idea di comunicare e di agire”.
La scienza può testare la nostra memoria a breve o a lungo termine, può valutare la nostra reazione emotiva agli stimoli visivi in relazione allo stesso test fatto prima di vedere la mostra.
L’artista vero sa che la nostra percezione è profonda e se vuole raggiungerla deve lavorare duramente. Egli sa anche che il suo lavoro è basato sulla psiche e anche sul corpo, sceglie i materiali giusti che irradiano i colori giusti, frequenze che arrivano in profondità e toccano le corde giuste.
Ogni fenomeno corporeo è legato alla spiritualità di un’opera d’arte e collega gli uomini fra di loro, rende univoci i sentimenti e lega definitivamente le persone al concetto di bello che, sia pur con molte resistenze intellettuali, controversie e opinioni divergenti, si avvicina moltissimo all’idea di “bellezza oggettiva”.
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Le foto dell’articolo, in ordine dall’alto:
- Leonardo da Vinci, “L’uomo vitruviano”, 1490, Venezia, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie dell’Accademia.
- Michelangelo Merisi, “La pietà”, 1498, particolare, Basilica di San Pietro, Città del Vaticano.
- Caravaggio, Cena in Emmaus, 1602, particolare, National Gallery di Londra.
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