Di dubbio gusto

in Arte e cultura

giuseppe-arcimboldoCos’è che comunemente chiamiamo “gusto”? Cerchiamo un nostro gusto? Lo stile preferito?
Di cattivo gusto si dice a colui che non rispetta i canoni contemporanei o le idee convenzionali, di buon gusto si dice a colui che invece crea icone o quantomeno le imita o le insegue. Come ci si muove in questa giungla selvaggia che spesso, fra domanda e offerta, non fa altro che confonderci?
In tutta la nostra vita siamo in una costante ricerca del bello, del gradevole alla vista, che sia per vestirci o per arredare la nostra casa, per decorare i nostri oggetti o per personalizzare il mondo che ci circonda. Tutto intorno a noi deve essere l’espressione del nostro carattere, del nostro umore, dei nostri sentimenti o semplicemente per farci notare o far parlare di noi.

 
 

A chiunque si chieda il perchè di una scelta estetica, la risposta è quasi sempre la stessa: “per me stesso/a” o qualcosa di simile. Il narcisismo del nostro secolo ha cambiato i gusti in modo radicale, però qui entriamo nella sfera culturale di per se già trattata approfonditamente dai grandi studiosi. La diversità delle culture sia per latitudine e sia temporali, hanno creato nei secoli i mondi che noi oggi conosciamo, ma cosa si è perso o si sta andando via via perdendo?
Non sono all’altezza di prendere in considerazione le mutazioni culturali internazionali,  che peraltro meriterebbero interi saggi o libri, vorrei tentare di focalizzare l’attenzione sull’individuo come centro decisionale, come colui che sceglie, se sceglie bene o male e perchè.

Sono molte le parole utilizzate dalla gente per spiegare una scelta: bello, brutto, kitch, favoloso, alla moda o fuori moda, rilassante, avvolgente, grottesco, interessante, orribile, cafone, elegante, allucinante, casual, dark, leggero, frizzante, dandy e così via per una infinita serie di aggettivi a volte anche inventati. Ma sappiamo cosa diciamo? Delle parole che usiamo ne conosciamo il significato? Per esempio “filone”. Che mai potrà significare questa parola? Sono sicuro che in ogni città d’Italia scoprirei i più svariati e stravaganti significati.

Tanto per cominciare ognuno cerca uno stile e lo persegue, è come se dicessi “ognuno cerca il proprio filone”. Quando una persona scopre che gli piace molto una determinata cosa, cercherà il più delle volte di seguire lo stesso filone stilistico e raggiungere una certa omogeneità nella propria immagine o della percezione che ha di se stesso. La cultura contemporanea chiama questa omogeneità “stile” o “carattere”. hieronymus-bosch-salita-al-calvarioPer tutti noi diventa quasi  obbligatorio presentarsi con uno stile, identificabile e riconoscibile, indipendentemente dal grado di “raffinatezza” o di “stile” raggiunti. Si cerca in qualche modo di dare un’identità a se stessi, una qualifica e, per quanto ci sforziamo, di dare l’impressione che siamo così perchè ci piace essere così, tanto più non ci rendiamo conto che ciò che facciamo è perchè abbiamo un estremo bisogno di essere guardati e apprezzati. Il genere umano con tutte le sue contraddizioni rimane sempre un essere sociale, senza l’ammirazione di chi ci sta intorno perdiamo molto di noi stessi.  Chi non riesce in questa impresa cade in depressione o paga qualcuno per farsi fare i complimenti.

I dipinti che presento in questo articolo sono solo una piccola parte di quanto più enigmatico possa aver offerto al mondo l’arte. In modi diversi questi artisti sono usciti dagli schemi per scuotere l’opinione pubblica, per far parlare bene e male delle proprie idee condivisibili o meno che fossero. Ma la questione è che, a mio avviso, il gusto è un qualcosa che non ha un’unica strada percorribile, ma più strade che si intrecciano fra loro.

Francisco Goya - Saturno che divora i figliIl grande pubblico non riesce a differenziare o a selezionare meglio le opportunità perché  entra in gioco il livello culturale. Se si abbassa tale livello la persona non è più in grado di scegliere. Ecco saltare fuori l’industria che crea ad esempio copie dei classici a basso costo. Molte persone sanno che con il classico vanno a colpo sicuro, non rischiano di sbagliare o creare un macchia nella propria immagine. Cosa si è inventata la nostra società affaristica? L’intermediario. Egli è un figura di appoggio, una persona di fiducia, uno che ha studiato (o forse no) che consiglia l’acquisto giusto, ti crea di sana pianta il “filone” giusto per te. A quel punto tu sei disarmato, con le spalle al muro. Puoi solo scegliere se accettare questa condizione o lasciare la tua casa senza quadri.

Se manca una persona di fiducia che facciamo? Ci vestiamo in modo eccessivo o appariscente? Può anche risultare interessante, ma solo se lo sappiamo spiegare, altrimenti facciamo degli sbagli  inconsapevoli. Allora saper distinguere fra giusto e sbagliato o fra bello e brutto forse vuol dire avere anche la capacità di dare una convincente spiegazione, prima a se stessi e poi agli altri.

Nella società dell’apparire diciamo: “siamo quello che sembriamo”, che è abbastanza sbagliato. Se invece diciamo: “siamo quello che pensiamo”, allora quello che sembriamo diventa davvero ciò che noi siamo. Dunque il “gusto” si colloca proprio nella condizione di pensiero autonomo che può essere costruito sulla “conoscenza” e la “cultura”. Solo a queste condizioni il gusto può diventare “buon gusto”.
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Le foto dell’articolo, in ordine dall’alto:

  1. Giuseppe Arcimboldo – 1591 – Rodolfo II in veste di Vertunno.
  2. Hieronymus Bosch – Salita al Calvario – Particolare.
  3. Francisco Goya – Saturno che divora i figli.

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Graffiti urbani, osservazioni

in Arte e cultura

“Regole nuove per nuove convivenze” è il mio slogan di  oggi.
Ecco un argomento di cui è veramente difficile parlare. Le controversie legali, sociali e di opinione hanno prodotto parecchia confusione su una realtà. Sto parlando dei disegni che occupano piazze, strade ed ogni sorta di superficie urbana. Non intendo schierarmi da una parte o dall’altra ma vanno fatte alcune considerazioni.

Ogni forma di espressione artistica intende in qualche misura comunicare e rivolgersi agli altri, alla società. Occorre capire se le regole create da quella società sono compatibili con questa comunicazione sia al livello legale e sia al livello di semplici  regole di convivenza civile.

La prima grande distinzione io la farei fra i “disegnatori di genere” e i semplici “scrivani”. I primi creano immagini che evocano qualcosa con testi, disegni, luoghi e personaggi. Gli “scrivani” appunto scrivono solo frasi di ogni tipo (viva questo o quello, G. ama L.,  abbasso questo, poesie e inni, tutti scritti con un anonimo stampatello o disegni improbabili). Gli “scrivani” andrebbero inseriti in un contesto “Trash”, senza comunicazione  e senza grafica, il cui unico scopo è la rovina delle cose, in un certo senso sembra inseguino la filosofia del “scrivo (e sporco) dunque sono”, un po come Youtube della strada.  I primi, invece, ovvero i “disegnatori di genere” meritano un’adeguata attenzione, sembrano quelli della filosofia del “coloro dunque miglioro”.

Dal punto di vista artistico si intravedono doti piuttosto evidenti  di capacità disegnative, cromatiche e creative. Dal punto di vista sociale salta subito all’occhio il messaggio, non solo attraverso le frasi e le parole, ma anche con i virtuosismi dei personaggi e dei luoghi fantastici. I motivi che spingono i giovani e meno giovani a liberare il pensiero sui muri urbani non è chiaro. “Seneca21” è il nome con cui si fa chiamare un ragazzo di 23 anni che ho conosciuto per caso, dice: “Via M…… fa schifo,  è grigia e lurida, io e i miei vogliamo cambiare le cose… qui ci veniamo la sera e questo è uno spazio  nostro…”. Si capisce che egli fa riferimento ad una carenza urbanistica e ad una domanda, peraltro non ascoltata, dei ragazzi sulla condizione attuale delle città. Mi rendo conto che se potessi intervistare anche molti giovani avrei risposte diverse da ciascuno di loro. Magari i disegni sono un invito a qualcosa o ad avvisare con un messaggio  a proposito di qualcos’altro e chissa quanto altro ancora.

Al centro del problema c’è però la scelta del posto e della superficie da disegnare. Le attuali leggi sono sempre più restrittive.

É giusto imporre le regole specie per quella categoria  che ho definito “scrivani” che fanno solo danni e a tal proposito appoggio anche la petizione pubblicata qui dai cittadini milanesi. A ben osservare le nostre città, però, si capisce che molte strutture private, come edifici, muri di recinzione  e quant’altro sono lasciati all’incuria e al degrado. Questo, è bene ricordare, è tutto nel diritto dei proprietari, siamo perciò a confini che non possiamo  travalicare.  Pensando all’oggetto in questione, invece, mi permetto solo di dire che il valore di una città si misura anche in base all’interesse che i suoi cittadini vi dedicano.

Provo cautamente a vestire i panni di un teen ager. Se io giro in una città curata il mio spirito si muove più sereno, sono contento di vivere in uno spazio che è gestito e curato giornalmente. Se trovo le “tracce” del giorno prima sono spinto a modificare quell’ambito, in meglio se sono un “disegnatore di genere” e in peggio se sono uno  “scrivano”.

Non sono bravo a vestire i panni degli altri ma invito tutti a provare a capire le cose o meglio a capire i giovani. La nostra società usa troppo spesso i pregiudizi verso i giovani e non vado oltre, ma si sente nell’aria che le idee e la fantasia dei ragazzi è insopportabile per alcune persone.

Il mio parere è che trovo la creatività di questi ragazzi davvero unica e di un discreto livello. Alcune volte sorprendente. Se solo fosse possibile far intervenire i comuni affinchè nuove regole e norme potessero cambiare sia gli atteggiamenti dei privati (possessori di edifici, terre, ferrovie, ecc.) e sia gli atteggiamenti dei “writers”, forse la battaglia nella occupazione delle superfici avrebbe termine. Insomma il bello va contemplato in modo assoluto nella metropoli contemporanea. Occorre dare spazio ai giovani nelle città con strutture  adeguate e spazi liberi per creare. Dall’altro versante occorre intervenire sulle strutture pubbliche e sollecitare i proprietari privati a fare opere di manutenzione (che tra l’altro non riguardano solo l’estetica, ma anche la sicurezza).

La tanto discussa teoria delle “finestre rotte” in fondo è molto vicina a noi e concludo così come ho cominciato, occorrono regole nuove per nuove convivenze.

Sulla teoria delle finestre rotte ecco alcuni articoli interessanti comparsi su “LE SCIENZE” e sul blog “GALATINA2000BLOG“.