Stai visitando l'archivio per Arte e cultura.

Cosa è il talento?

in Arte e cultura

Un interessante articolo comparso su “La Repubblica” di Enrico Franceschini: “Ecco il genio: una scintilla, tanto lavoro. Il talento è nulla senza applicazione”, approfondisce la questione secondo cui il talento esista o meno. Considero il servizio non solo molto pertinente alla  nostra società moderna, ma una vera e propria scalfitura al pensiero corrente generale che tende all’auto affermazione. L’articolo in questione evidenza in sintesi le relazioni fra il talento innato e quello coltivato con molta preparazione, studi e grande abnegazione. Si ritiene che il talento innato non esista, o che esista in “piccole dosi” e che siano poi i sacrifici e gli studi intensi a evidenziare questa o quella tendenza. L’articolo cita anche grandi autori che sin da piccoli hanno evidenziato un forte talento, ma che nella loro storia fa da padrone lo studio e l’abnegazione sin dalla tenera età, accompagnati da un tutor quali un genitore, un professore o comunque una scuola. Consiglio di leggere l’articolo sul sito di Repubblica (articolo del 18 settembre 2006) . Mi permetto di pubblicare alcuni stralci che vorrei commentare. Facendo riferimento ad importanti ricerche internazionali l’articolo dice:

…il verdetto degli esperti è che genio si diventa: o meglio si nasce “e” si diventa, perché una certa dose di talento naturale è indubbiamente necessaria, ma in sé non basta, occorre coltivarla con uno studio di alta qualità e svilupparla con anni di duro lavoro…

La propria capacità di produrre un opera di grande livello è legata effettivamente alla capacità di riconoscere questa dose di talento nel suo nascere e di decidere se approfondire o lasciare le cose come sono. Se sin da piccoli si promuove il talento per così dire “neonato” si può aspirare a grandi risultati. Se invece aspettiamo rischiamo di perdere tracce significative di questo talento e saremo costretti a sforzi di gran lunga superiori per recuperare terreno. Nel bellissimo articolo si legge ancora:

La ricerca suggerisce in proposito una sorta di “regola dei 10 anni”: per quanto sia solido il talento innato, occorrono almeno dieci anni di pratica, di lavoro serio ed intenso, per raggiungere la grandezza.”, in conclusione dice: “Tra i fortunati individui che nascono con una dose di talento in qualcosa, insomma, sono la qualità dello studio e l’intensità della pratica a fare la differenza: per cui uno diventa un genio e un altro solo un buon esecutore.

Ecco che nella nostra società è scomparsa la vera fatica che , in teoria,  dovrebbe esserci dietro tutti quei talenti che vengono acclamati e decantati, in particolar modo dal sistema mediatico italiano. Cioè nella nostra società dell’apparire ancora una volta non conta la sostanza, ma l’apparenza e più precisamente l’apparenza mediatica. Nello splendido libro di Bauman “Consumo, dunque sono” (cfr. Zygmunt Bauman – Ed. Laterza – 2008), si parla appunto del problema della commercializzazione di se stessi, una sorta di marketing della propria persona.
La valutazione mediatica odierna è: “se sto in Tv, vuol dire che so fare, sono importante, sono stato selezionato, ho superato il test, sono meglio di qualche altro… e via dicendo” oppure: “se ho un grande pubblico vuol dire che sono bravo” come se fosse solo la maggioranza a stabilire il metro di valutazione del talento. Basta guardarsi intorno per notare una meritocrazia ipocrita fondata su talenti improbabili e acclamati a tal punto da convincere il pubblico (forse impreparato) che infondo cio che sta vedendo è frutto di un qualche talento. É bastato ridurre il più possibile il sapere nella coscienza pubblica tanto da far ridurre anche il metro di paragone e giudizio della gente comune. Il grande risultato è che qualsiasi cosa si presenti in TV  cattura comunque l’attenzione e l’audience, tale “attenzione” è oggi la “merce più preziosa” (cfr. Zygmunt Bauman – Ed. Laterza – 2008) per tutti i manager del business mediatico.

Il senso critico

in Arte e cultura

vorticeUn aspetto non del tutto chiaro della condizione culturale della nostra penisola mediterranea è la capacità critica di ciascuno di noi e, la stessa, in relazione con gli argomenti intellettuali confrontati con la “critica” ufficiale. Mi spiego per gradi.

Il senso critico generale.
In una situazione culturale generale non propriamente alta e nel “relativismo” moderno di cui tanto si parla, si può notare una variegata fantasia di opinioni nel valutare il mondo che ci circonda. Non possedendo quasi più le radici culturali che ci appartenevano, ci si barcamena con dei giudizi basati esclusivamente su esperienze autobiografiche. Sembra che la valutazione e la percezione della realtà non sia più oggettiva, ma soggettiva. Questo a mio parere lo si è voluto di proposito per sgretolare una identità culturale fatta di storia intensa e di un patrimonio artistico di raro valore storico per avvantaggiare l’opinionismo come valore in se e far emergere anche l’opera d’arte mediocre, come prodotto di alto livello. In poche parole in questo modo “tutti sono bravi” a fare tutto.
Ebbene, se io autorizzo tutti a pubblicare un giudizio personale come  se fosse valido  o di fonte accreditata, creo un falso e autorizzo un qualsiasi portabandiera a raggruppare coloro che hanno idee che si assomigliano a creare una fazione credibile. Credibile a tal punto da diventare indiscussa.
La diversità culturale è ben altra cosa che la diversità di opinione, questo tentativo di confondere le due cose è un attentato all’identità degli individui. La straordinaria bellezza che emerge da una diversità culturale è fatta di elementi di storia dalle profonde radici che si uniscono per un concetto  nuovo o un’idea eccezionale.

Il senso critico nell’arte.
Ecco che l’arte non è passata indenne da questa situazione precaria.
Travisando il senso critico con l’opinione abbiamo fatto diventare critici d’arte chiunque abbia la capacità di usare molti aggettivi con un linguaggio sciolto persino davanti ai media.
Chi è il vero critico d’arte? Mi permetto di ricordare al lettore che soltanto una persona con un solido bagaglio di conoscenze e saggezza, ricercatore e studioso con alle spalle fior di articoli di alto livello e pubblicazioni su riviste specializzate e, se possibile, anche artista può godere di credito. Il bravo venditore rimane un bravo venditore, spetta a noi riconoscerne le credenziali. Tuttavia ciascuno di noi può sviluppare un piccolo senso critico verso l’arte e in particolare l’arte contemporanea. Basta documentarsi prima di andare a visitare una mostra, leggere molto è la prima regola. Consultare libri di pregio. È importante anche seguire attentamente la guida (si spera preparata) all’interno di un museo o di una galleria d’arte. Un gallerista ha il dovere di essere intellettualmente preparato, perché è facile fare il venditore piazzista, ma difficile è evidenziare il talento. Anche se devo dire  che questa non è l’epoca più felice per i talenti.

La ricerca alla base di tutto.
Oggi è opinione diffusa che la bellezza sia legata strettamente al gusto o, più propriamente, al gusto personale. Perciò se metto insieme dieci persone che hanno gli stessi gusti, questi “dettano legge” e possono stabilire indiscutibilmente cosa sia bello e cosa no. Pare che il singolo individuo non sia più in grado di capire cosa gli piaccia oppure no, gli serve l’appoggio di un’altro parere per avere una conferma o un dissenso. L’artista si trova dunque in un bivio culturale, o seguire le orme delle tendenze e quindi anche le idee altrui o seguire le idee proprie con uno stile esclusivamente unico e personale. La prima strada è indubbiamente più facile perché ci assicura consensi, ci garantisce notorietà e di conseguenza la vendita. Inoltre è più facile perché non si è costretti a fare alcuna ricerca o preparazione particolare, basta seguire la corrente. Se uno inventa con grandi sforzi concettuali una estetica fatta di tele tagliate, ecco che parte un intero filone di artisti “unidirezionali” che sfruttano in vario modo l’idea di base. Fontana non era certo il primo arrivato eppure anche con lui l’effetto domino ha fatto il suo decorso. Il genio in questo caso rimane solo Fontana e non i suoi seguaci. Dunque qual’è il valore di questa strada artistica?
Ci sono invece artisti che svolgono approfondite ricerche storiche e stilistiche per capire le motivazioni e la forza comunicativa delle varie correnti artistiche, svolgono accurate indagini sulla realtà contemporanea, misurano il sentimento contemporaneo della civiltà, vedono al di là della realtà apparente e ne fanno una radiografia. Insomma dietro le opere d’arte di questo tipo di artisti esiste una turbolenta sofferenza che non ha paragoni con l’altro modo di fare arte. Ne scaturisce di conseguenza una maturità artistica di alto valore e le opere d’arte coinvolgono ed emozionano l’osservatore anche se l’opera d’arte appare minimalista. Da tutto ciò scaturisce come naturale conseguenza un iconografia e una strutturazione dell’opera d’arte completamente nuova, originale, mai vista e non collocabile in un frangente o corrente di pensiero già esistente.