Di dubbio gusto
Cos’è che comunemente chiamiamo “gusto”? Cerchiamo un nostro gusto? Lo stile preferito?
Di cattivo gusto si dice a colui che non rispetta i canoni contemporanei o le idee convenzionali, di buon gusto si dice a colui che invece crea icone o quantomeno le imita o le insegue. Come ci si muove in questa giungla selvaggia che spesso, fra domanda e offerta, non fa altro che confonderci?
In tutta la nostra vita siamo in una costante ricerca del bello, del gradevole alla vista, che sia per vestirci o per arredare la nostra casa, per decorare i nostri oggetti o per personalizzare il mondo che ci circonda. Tutto intorno a noi deve essere l’espressione del nostro carattere, del nostro umore, dei nostri sentimenti o semplicemente per farci notare o far parlare di noi.
A chiunque si chieda il perchè di una scelta estetica, la risposta è quasi sempre la stessa: “per me stesso/a” o qualcosa di simile. Il narcisismo del nostro secolo ha cambiato i gusti in modo radicale, però qui entriamo nella sfera culturale di per se già trattata approfonditamente dai grandi studiosi. La diversità delle culture sia per latitudine e sia temporali, hanno creato nei secoli i mondi che noi oggi conosciamo, ma cosa si è perso o si sta andando via via perdendo?
Non sono all’altezza di prendere in considerazione le mutazioni culturali internazionali, che peraltro meriterebbero interi saggi o libri, vorrei tentare di focalizzare l’attenzione sull’individuo come centro decisionale, come colui che sceglie, se sceglie bene o male e perchè.
Sono molte le parole utilizzate dalla gente per spiegare una scelta: bello, brutto, kitch, favoloso, alla moda o fuori moda, rilassante, avvolgente, grottesco, interessante, orribile, cafone, elegante, allucinante, casual, dark, leggero, frizzante, dandy e così via per una infinita serie di aggettivi a volte anche inventati. Ma sappiamo cosa diciamo? Delle parole che usiamo ne conosciamo il significato? Per esempio “filone”. Che mai potrà significare questa parola? Sono sicuro che in ogni città d’Italia scoprirei i più svariati e stravaganti significati.
Tanto per cominciare ognuno cerca uno stile e lo persegue, è come se dicessi “ognuno cerca il proprio filone”. Quando una persona scopre che gli piace molto una determinata cosa, cercherà il più delle volte di seguire lo stesso filone stilistico e raggiungere una certa omogeneità nella propria immagine o della percezione che ha di se stesso. La cultura contemporanea chiama questa omogeneità “stile” o “carattere”. Per tutti noi diventa quasi obbligatorio presentarsi con uno stile, identificabile e riconoscibile, indipendentemente dal grado di “raffinatezza” o di “stile” raggiunti. Si cerca in qualche modo di dare un’identità a se stessi, una qualifica e, per quanto ci sforziamo, di dare l’impressione che siamo così perchè ci piace essere così, tanto più non ci rendiamo conto che ciò che facciamo è perchè abbiamo un estremo bisogno di essere guardati e apprezzati. Il genere umano con tutte le sue contraddizioni rimane sempre un essere sociale, senza l’ammirazione di chi ci sta intorno perdiamo molto di noi stessi. Chi non riesce in questa impresa cade in depressione o paga qualcuno per farsi fare i complimenti.
I dipinti che presento in questo articolo sono solo una piccola parte di quanto più enigmatico possa aver offerto al mondo l’arte. In modi diversi questi artisti sono usciti dagli schemi per scuotere l’opinione pubblica, per far parlare bene e male delle proprie idee condivisibili o meno che fossero. Ma la questione è che, a mio avviso, il gusto è un qualcosa che non ha un’unica strada percorribile, ma più strade che si intrecciano fra loro.
Il grande pubblico non riesce a differenziare o a selezionare meglio le opportunità perché entra in gioco il livello culturale. Se si abbassa tale livello la persona non è più in grado di scegliere. Ecco saltare fuori l’industria che crea ad esempio copie dei classici a basso costo. Molte persone sanno che con il classico vanno a colpo sicuro, non rischiano di sbagliare o creare un macchia nella propria immagine. Cosa si è inventata la nostra società affaristica? L’intermediario. Egli è un figura di appoggio, una persona di fiducia, uno che ha studiato (o forse no) che consiglia l’acquisto giusto, ti crea di sana pianta il “filone” giusto per te. A quel punto tu sei disarmato, con le spalle al muro. Puoi solo scegliere se accettare questa condizione o lasciare la tua casa senza quadri.
Se manca una persona di fiducia che facciamo? Ci vestiamo in modo eccessivo o appariscente? Può anche risultare interessante, ma solo se lo sappiamo spiegare, altrimenti facciamo degli sbagli inconsapevoli. Allora saper distinguere fra giusto e sbagliato o fra bello e brutto forse vuol dire avere anche la capacità di dare una convincente spiegazione, prima a se stessi e poi agli altri.
Nella società dell’apparire diciamo: “siamo quello che sembriamo”, che è abbastanza sbagliato. Se invece diciamo: “siamo quello che pensiamo”, allora quello che sembriamo diventa davvero ciò che noi siamo. Dunque il “gusto” si colloca proprio nella condizione di pensiero autonomo che può essere costruito sulla “conoscenza” e la “cultura”. Solo a queste condizioni il gusto può diventare “buon gusto”.
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Le foto dell’articolo, in ordine dall’alto:
- Giuseppe Arcimboldo – 1591 – Rodolfo II in veste di Vertunno.
- Hieronymus Bosch – Salita al Calvario – Particolare.
- Francisco Goya – Saturno che divora i figli.
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