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Si viaggiare

in Arte e cultura

la_buona_ventura_1594Mi sono permesso di usare il titolo di una nota canzone di Lucio Battisti per parlare di viaggi. Si di viaggi, quelli che un artista fa col corpo e con la mente.

Di solito il viaggio che un artista compie è quello di allontanarsi dalla sua terra, ma di tornarvi arricchito. Di allontanarsi dal suo corpo, ma di tornarvi turbato o meravigliato. La domanda che vi propongo oggi è: che tipo di viaggi fa l’artista?

Partiamo dal presupposto di essere più o meno tutti d’accordo sul seguente concetto: l’artista è uno studioso e un profondo intellettuale. I grandi maestri come Michelangelo, Leonardo da Vinci, Caravaggio ed altri ci insegnano proprio questo. L’artista è alla continua ricerca di segni e confronti, si emancipa iper-scrutando l’iconografia degli artisti del passato e del presente. Si sposta da una città all’altra o da un continente all’altro per toccare con mano i possibili linguaggi. Oggi internet permette anche di viaggiare senza spostarsi dalla propria sedia, ma il fine rimane lo stesso: scoprire la comunicazione degli altri individui. Il bagaglio che si acquisisce apre gli orizzonti della mente e permette viaggi intellettuali più vasti. L’ignorante, inteso come chi conosce poche cose (senza polemizzare sulla questione dell’istruzione), ha un terreno mentale di pochi metri quadrati e dunque è impossibilitato a spostarsi agevolmente. Pensiamo ad uno studioso, egli ha un terreno mentale vasto come regioni o continenti, secondo quanto ha studiato. Quindi può viaggiare col pensiero molto più lontano.

Studiare e viaggiare sono complementari e si evolvono nell’artista per ottenere nuove forme estetiche. In questa meravigliosa visione dell’arte esistono, però, dei “bug” come direbbe un informatico. Vuol dire che, come tutti i viaggi, i pericoli sono sempre in agguato. La metabolizzazione delle conoscenze acquisite è proprio uno di questi bug. L’artista in coscienza deve stare molto attento ad evitare le imitazioni. Vale a dire che è molto facile per l’artista fare un viaggio, vedere o sentire una cosa interessante, tornare a casa, scopiazzare ciò che ha visto o sentito e farlo passare come proprio per passare come autore originale o, più furbescamente, come autore interpretativo. Questa non solo è una invasione alla propria e altrui cultura, ma anche un forte mancanza di rispetto verso gli altri artisti e le altre culture, “rubando” loro le idee. Inoltre l’artista che ha questo atteggiamento è quasi sicuro al 100% che nessuno se ne accorgerà. Il dramma accade quando la critica ufficiale non se ne accorge o fa finta o addirittura ne fa un merito facendo passare una certa “incapacità creativa” come fosse una “capacità interpretativa”. Faccio un altro esempio. Se nel mio viaggio trovo alcune cose interessanti, devo prima capire perché le trovo interessanti.

  1. Perchè sono semplicemente nuove soluzioni estetiche?
  2. Perchè sono immagini che si rifanno ad antiche culture e tradizioni a me sconosciute e che esercitano su di me un certo fascino?
  3. Oppure sono immagini che parlano?
  4. Cosa dicono?

chantgAlle prime due domande do una certa risposta: “Ecco, ho trovato finalmente l’ispirazione e il mio filone”, un problema che ho affrontato già nell’articolo “Uno stile inconfondibile”. Alla domanda 3 e 4 c’è un mondo che ci gira intorno.  Voglio rispondere con un altro esempio. Se un artista senegalese è riuscito a darmi delle sensazioni profonde e ad esprimere un messaggio forte, io lo prenderò in considerazione nella mia arte, ma senza farmi condizionare.  Se quell’artista porta con se un messaggio riferito alle guerre e la violenza in quei territori, io non posso commettere lo sbaglio di inserire nella mia arte il messaggio sulle quelle guerre o altre guerre. Casomai posso esprimere il sentimento provocato dalla guerra senza rappresentarla visivamente. Questo però è un altro problema. Se vedo colori che mi colpiscono in uno stile tipico africano, è inutile che io usi quei colori in Italia per portare la novità.

Per non incorrere in questi errori, un artista autentico, deve osservare un rigore professionale, valutare la sua esistenza proporzionandola all’altrui esistenza, con umiltà e grande spirito di sacrificio. Nella pratica osserverà le semplici regole del non imitare mai gli altri, nello spazio e nel tempo, nel segno o nelle idee.  La creatività deve nascere dall’io e non dal mondo esterno, il mondo è già la ricchezza da ammirare e da cui lasciarsi trasportare. Il viaggio dell’esploratore culturale, a mio modesto avviso, deve necessariamente essere solo uno stimolo e mai un riferimento. Se mento a me stesso, è chiaro che mentirò anche agli altri.

In questi anni sento sempre più spesso parlare di “esterofilia”, ovvero una forte preferenza degli italiani agli oggetti e alle arti degli altri paesi e per di più con una sempre più scarsa conoscenza e attenzione alle arti e al design italiano. La grande ricchezza culturale degli altri paesi evidenzia una  forte identità. E noi? Siamo forse davvero giunti all’impoverimento della nostra identità, nonostante la nostra grande ricchezza storica?
Ma questo è un altro capitolo.
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Le foto dell’articolo, in ordine dall’alto:

  1. Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571 Milano; 1610 Porto Ercole, Napoli) – La buona ventura – 1594 (particolare); Musei Capitolini, Pinacoteca – Roma.
  2. Iba N’Dyae (1928 Saint-Luis, Senegal;  2008 Parigi, Francia) – Chanteuse – 1990.

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Uno stile inconfondibile

in Arte e cultura

oppenheimIn un’intervista a Dennis Oppenheim  comparsa su “Il venerdì” di Repubblica, questi dice: “La storia dell’arte dimostra che la maggior parte degli artisti hanno un’unica grande idea. Avuto quel colpo di genio, passano la vita a ripeterlo all’infinito. Con sempre minor efficacia.” (“Il venerdì”, n° 1114 del 24 luglio 2009 – pp. 98/102 – Intervista di Antonella Barina”). Oppenheim, uno dei fondatori della Land Art in America, focalizza un problema ad ampio spettro e introduce la questione dello stile nella personalità dell’artista. Infatti da molto tempo, troppo, l’arte condiziona l’artista e l’artista condiziona l’arte.  Già negli anni dell’accademia, l’artista, viene orientato verso una ricerca quasi ossessiva di uno stile o di un linguaggio riconoscibile a tutti i costi. Gli viene detto che questa è la fase della maturità, della ricerca del se. Purtroppo non è sempre così, questa ricerca diventa il più delle volte una limitazione semiotica, la scoperta di una lingua che poi rimane sempre la stessa, appunto come sottolinea D.O. inseguita per tutta la vita. Occorre capire che la percezione del se per l’artista è sempre basata sulla ricerca del miglior linguaggio estetico e comunicativo, ma questo non vuol dire necessariamente dipingere ad esempio sempre gli stessi soggetti, oppure usare sempre gli stessi colori, insomma sempre le stesse icone. L’artista che sviluppa un linguaggio estetico può in maniera incondizionata esprimersi in altre lingue, lo stile che a mio modesto avviso deve perseverare è quello che contiene un messaggio, dunque i contenuti, indipendenti dal linguaggio estetico che usa. Può diventare un errore seguire un’iconografia che, godendo di consenso, divenda il messaggio di per se o addirittura l’unico messaggio. Io evito di cambiare colori e soggetti perchè così facendo rischio. Cosa rischio? Di perdere credibilità, consensi, una cattiva critica, una perdita di clienti, e così via. Il filone sicuro non si lascia mai. Dal punto di vista dell’osservatore è sempre un forte impatto trovarsi difronte a qualcosa di nuovo, suscita diffidenza. Il nuovo induce a critiche severe sia di fronte a nuovi artisti e sia di fronte ad un cambio estetico fra diverse opere dello stesso artista contemporaneo.
Tornando alle accademie, si ha una chiara visione di ciò che dico quando, entrando in una cattedra di pittura il cui professore è un astrattista, la maggior parte degli allievi diventano astrattisti. Non è sbagliato diventare astrattisti e nemmeno seguire le orme del proprio professore, ma è sbagliato usare un linguaggio estetico uguale ad un’altro artista per dire (certamente) cose diverse, o addirittura non dire nulla, nella convinzione che basti quel tipo di iconografia per avere consensi, o gli stessi consensi ottenuti probabilmente dal professore.

mondrianPer rivedere un artista per certi versi criptico osserviamo le opere di Mondrian. Le forze convergenti e al tempo stesso contrapposte delle sue opere sono profondamente suggestive certamente, ma sono anche il risultato di una lunga e tormentata ricerca interiore “parallela” alla ricerca estetica e funzionale degli equilibri cromatici e semantici. Chi studia Mondrian si rende conto che lo stile impostato da questo artista non nasce con la scoperta delle geometrie che, accostate nel giusto modo, riscuotono successo e interesse, ma dalla profonda conversione del mondo così come noi lo conosciamo in una visione integrale del nucleo della realtà che oggi chiamiamo “equilibrio”. Nell’arte contemporanea chi sa dipingere non è detto che sappia cosa stia dicendo. Un artista deve sempre far correre su due binari la conoscenza tecnica e i contenuti, Leonardo da Vinci diceva che non è difficile dipingere la figura umana, difficile è dipingere i sentimenti che questa deve trasmettere.
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Le foto dell’articolo, in ordine dall’alto:

  1. Dennis Oppenheim – Buss home – 2002.
  2. Piet Mondrian – Composizione con piano rosso grande, giallo, nero, grigio e blu – 1921 – Gemeentemuseum Den Haag, L’Aia .

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  1. Dennis Oppenheim – 2002 – Buss home.